Il punto del Direttore

 

 

 

In un incontro, otto anni fa, diceva Marchionne “L’Italia ha l’urgenza, l’assoluta necessità, di intervenire per colmare il divario competitivo che la separa dagli altri stati europei. Saranno almeno dieci anni che dico che abbiamo bisogno di interventi strutturali, di riforme profonde che hanno come obiettivo il riposizionamento della competitività del nostro Paese. La realtà è che poco si è mosso, il sistema sembra totalmente incapace di reagire” (“La periferie dell’umano”, Autori vari, BUR Saggi, 2014, pag. 361).

E’ un brano significativo, una analisi che va bene anche oggi.
Dopo la tragedia nelle Marche, l’alluvione, lo scioglimento dei ghiacciai nel mondo, le morti dovute al Cambiamento climatico, si può dire tranquillamente che “si è mosso poco!”
Le prossime elezioni e le parole della campagna elettorale indicano progetti di cambiamento reale, o spesso sono chiacchiere per delegittimare o cogliere in fallo l’avversario di turno?

Gli anni dei Governi Conte 1 e 2 quali cambiamenti hanno registrato a livello della nostra competitività? V’è stato il COVID che ha mostrato che il nostro paese è un carrozzone di incapacità e di pressapochismo. (Tutti abbiamo in mente Arcuri!).E’ giunto Draghi, Figliolo e il PNRR è partito bene, ma oggi che accadrà? La campagna elettorale pone il dubbio che in questo clima di divisione la strada verso lo sviluppo pare irraggiungibile.

La capacità di reagire è data da un impulso sociale e individuale. Questa nuova classe politica sembra in difficoltà a far programmazione: i volti del rinnovamento quali sono, non sono sempre gli stessi?  Si sentono ancora battuto vecchie e ritrite.  Si ripete il vecchio clichet: progetti realistici senza dati concreti ma idee allo sbaraglio, si ripetono le vecchie parole, gli slogan sul pauperismo, le promesse di meno tasse, e soldi a tutti…

Non si ha nemmeno vergogna di dare quattrini a persone che vivono al bar senza lavorare.
Gente che voterà per chi continuerà a rifornirli di quattrini. Una truffa.
Il cambiamento avviene nella consapevolezza della realtà.

E’ purtroppo difficile in un paese frammentato e privo di una cultura unitaria proporre idee e progetti che possano essere condivisi. Chi vuole fare e cambiare deve fare i conti con chi preferisce fare il controcanto, non fare nulla e aspettare che le cose si aggiustino da sole.

Siamo davanti ad un paradosso: se lo Stato agisce democraticamente con leggi del Parlamento deve prima avere il consenso di altri centri di potere, dai Sindacati alle Belle Arti, dalle Regioni ai Gruppi di pressione che implicano la magistratura, per fermare tutto.
Poteri che si scontrano.

La concertazione è una parola inventata negli anni per creare un lungo tavolo con tutti i gruppi di pressione per avere un consenso unanime. Una situazione generata per stare fermi e dimostrare che è impossibile agire.
E’ questo il preludio per il successo delle riforme necessarie al raggiungimento dell’Agenda 2030?

Il cambiamento climatico e le sue conseguenze, lo scioglimento dei ghiacciai, la pulizia dei letti dei fiumi, la raccolta dei rifiuti e l’economia circolare, il risparmio energetico e la contemporanea lealtà con le democrazie occidentali, che culturalmente hanno dato vita all’Europa dove possono trovare una origine comune? Chi sarà il motore del nuovo paradigma?

L’Innovazione parte da una cultura condivisa all’origine, non da strette di mano che si fanno dopo.
Noi pensiamo a una cultura segnata dal pensiero cristiano nelle sue diverse espressioni, nella cultura greco-romana che ha segnato millenni di storia, con i mezzi di comunicazione che dovrebbero parlare un comune, semplice, fatto di esperienze concrete e meno di ideologie allo sbaraglio.

Ci interessano innovazioni sociali all’insegna del valore per tutti; aperte al nuovo che non divide e attente a creare solidi tratti di condivisione e molto impegnate a raggiungere il massimo dell’unità.
Le proposte divisive, che entrano a piedi uniti nella visione della società, sono prive di tolleranza, guardano ad un caso e ne fanno una bandiera per cambiare il tessuto sociale.

Ad esempio ci furono barricate per 500 ulivi in Puglia per impedire la partenza della TAP: ora essi sono stati impiantati in un altro luogo e stanno meglio di tutti gli altri. Sappiamo benissimo chi furono coloro che non volevano la TAP. Oggi come faremmo senza?
Era una battaglia ideologica, creata dal pensiero, condivisa ideologicamente e portata avanti con violenza.

Costoro sono stati puniti?
La domanda che ci si pone è: perché l’ideologia di pochi impedisce un allargamento della ragione?
Perché le “fissazioni ideologiche” impediscono il dialogo e diventano costume?

Alla vigilia del voto in Italia, credo che non ne usciremo benissimo: vi saranno poche facce e nomi nuovi. La baracca Italia è combinata male: chi vince fatica a costruire il nuovo.

Chi perde non percepisce la responsabilità di trattare con maggioranze che non rappresentano la propria posizione: il primo pensiero non è quello di rappresentare coloro che non appartengono a quella maggioranza, ma di fare di tutto che quella maggioranza abbia tali difficoltà da immobilizzare il paese.

Lo Stato non funziona come una azienda alla Marchionne, ma come una famiglia con molti soggetti, che vivono in un’unica casa, in cui a tavola non ci sono mai tutti, litigiosamente su tutto, obbligati a convivere, ma tutti contenti per lo scranno raggiunto e i quattrini che arriveranno. Ad ognuno della famiglia.

Bruno Calchera
Direttore Responsabile

 

 

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