Lupo solitario
L’altra notte ho fatto un sogno che fino a un certo momento era esaltante, illuminante, rassicurante, ma che nella sua seconda parte si è rilevato agghiacciante.
Ho sognato di vivere in una società del futuro, in una città piena di verde, giardini, aiuole. Con pochissime automobili, silenziose e senza tubi di scappamento. Con tantissimi mezzi pubblici, di superficie e no, biciclette, monopattini e altri mezzi poco ingombranti e non inquinanti.
Le persone camminavano felici, con un’aria serena e appagata negli occhi. Già, perché ho scoperto di lì a poco che ognuna di esse, in quel mio sogno, era collegata a un cervello elettronico di ultima generazione capace di raccogliere, accumulare e redistribuire l’energia prodotta da ciascun cittadino nello svolgimento della sua vita quotidiana.
Chissà chi è stato il primo ad avere un’idea di questo tipo. Ogni giorno ognuno di noi produce una quantità di energia che varia a seconda di quello che facciamo. In molti casi è una quantità minima, ma se messa insieme a quella degli altri miliardi di persone che vivono sulla terra rappresenta un patrimonio energetico immenso, fin impossibile da calcolare e imbrigliare.
Ma qualcuno, in quel mondo da me sognato, ci ha pensato e ci è riuscito. Azioni all’apparenza semplici come camminare, pedalare, salire e scendere le scale, remare, stirare, lavorare il legno o il ferro, servire al tavolo… sono un patrimonio di energia, in buona parte utilizzata ma anche fortemente dispersa. Energia naturale, pulita, che non inquina, facilmente reperibile, avendo a disposizione la tecnologia in grado di salvarla e rimetterla in circolo.
Ecco, nel mio sogno questa energia veniva trasferita a un cervellone unico che poi provvedeva a redistribuirla per gli usi più comuni: corrente elettrica, riscaldamento, trazione, uso domestico e industriale…
Quale soddisfazione il sapere che mentre vivi la tua vita di tutti i giorni contribuisci a fornire energia al resto della popolazione del pianeta, senza dover più dipendere da materie prime inquinanti e costose, gestite da pochi privilegiati che possono goderne e distribuirle a proprio piacere e, soprattutto, tornaconto. Finalmente una parità per il genere umano, tutti contribuiscono e godono in modo uguale, la fine delle diseguaglianze, l’addio ai concetti di ricchezza e povertà. Tutti felici e sereni, per le strade di quella fantastica città.
Non so perché e quando il sogno si è trasformato in incubo. È stato un cambiamento improvviso e inaspettato. Era notte, una persona mi si è avvicinata, mi ha preso per mano e mi ha detto di seguirla. Mi ha condotto davanti a un grande palazzo illuminato a giorno, nemmeno una finestra aveva la luce spenta e si sentiva musica ad alto volume e gente che brindava e festeggiava.
Abbiamo aperto una porta e ci siamo ritrovati in una semibuia e fredda cantina. Uno spazio enorme, con centinaia di cyclette collegate a fili elettrici. Il rumore era assordante, l’odore di muffa insopportabile, gli sguardi dei pedalatori, centinaia e incatenati, fissi e pieni di sofferenza. «Chi sono e che cosa fanno?», ho chiesto. «Sono i nuovi schiavi, producono energia per quelli del palazzo di sopra», mi ha risposto la figura amica.
Mi sono svegliato di colpo e non sono più riuscito a dormire per tutto il resto della nottata.
(da CSRoggi Magazine – Anno 7 – n.2 – Marzo/Aprile 2022; pag. 59)