“La transizione energetica comporterà profondi cambiamenti strutturali nell’economia, ma ritardare o rallentare la transizione avrebbe enormi costi economici e sociali. Al contrario, accelerare la transizione può generare una nuova ondata di innovazione, aumentando l’efficienza dei sistemi produttivi e producendo risultati migliori per le persone e per il Pianeta”. È questo uno dei messaggi chiave lanciati nel corso dell’evento di apertura del Festival dello Sviluppo Sostenibile (7 maggio, Ivrea) dall’ASviS con la pubblicazione “Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050. Le scelte da compiere ora per uno sviluppo sostenibile”.

Lo studio analizza i progressi e le incertezze del quadro legislativo e degli investimenti sullo sviluppo sostenibile e contiene un’inedita analisi sviluppata con Oxford Economics sulla relazione tra transizione energetica e variabili macroeconomiche, evidenziando quali sono le scelte da compiere oggi nel campo delle politiche industriali e degli investimenti, in modo da assicurare un futuro di prosperità per l’Italia ed evitare non solo gli scenari catastrofici, ma anche il peggioramento delle condizioni socioeconomiche del Paese.

Lo scenario migliore, per il mondo e per l’Italia

Lo studio mette a confronto cinque possibili scenari: quello di base, che tiene conto delle attuali politiche che portano a un aumento medio delle temperature di almeno 1.9°C rispetto al periodo pre-industriale; il net zero, dove si raggiunge la neutralità carbonica in Italia e nel mondo grazie anche all’introduzione di una carbon tax; la net zero transformation, dove allo scenario net zero vengono associate innovazioni e riforme economiche strutturali mirate a incentivare gli investimenti “verdi” che contribuiscono ad azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050; la transizione tardiva, dove le politiche di mitigazione partono dal 2030; e lo scenario di catastrofe climatica, dove i governi falliscono nel contenere l’aumento della temperatura e le emissioni di gas climalteranti.

Secondo lo studio né lo scenario base né quello net zero rappresentano una condizione ottimale. Per evitare i maggiori impatti sulla salute e sulle nostre economie, ciò che serve è raggiungere la neutralità climatica con politiche trasformative – scenario net zero transformation – in grado di rendere la transizione energetica una leva per la massimizzazione del benessere collettivo.

Una maggiore spesa green stimolerebbe la domanda aggregata con uno ‘shock keynesiano’ nel breve termine – si legge nello studio -. In questo scenario, aumenta la produttività di lungo termine, il che determina un Pil globale nel 2050 superiore dell’1,9% rispetto allo scenario base. Le entrate fiscali aggiuntive potrebbero essere reinvestite in misure di redistribuzione che contribuirebbero a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Se invece dovessimo ritardare il processo di transizione – transizione tardiva -, l’inazione di questi anni renderebbe concreto lo scenario “catastrofico” dove le temperature superano ampiamente i 2°C e dove crolla il Pil mondiale.

Per l’ASviS resta dunque una posizione “incomprensibile” quella di chi propone di rallentare la transizione energetica ed ecologica per motivi di costo, poiché gli studi dimostrano che i costi dell’inazione sono già elevati e cresceranno nel tempo, colpendo soprattutto i più poveri e vulnerabili. E questo vale soprattutto per l’Italia.

Il nostro Paese, infatti, potrebbe trarre grossi benefici da uno scenario net zero transformation, anche perché l’Italia risulta meno dipendente di altre economie globali dai combustibili fossili, come Cina e Stati uniti. In questo scenario il Pil italiano aumenta del 2,2% in più rispetto a quello base e il tasso di disoccupazione si riduce di 0,4 punti percentuali, mentre il debito pubblico cala con maggiore forza e velocità rispetto a tutti gli altri scenari. Di contro, se l’Italia non dovesse intervenire il Pil si ridurrebbe di almeno il 30% rispetto alle previsioni di base, con conseguenze drammatiche anche sul mondo dell’occupazione.

Il quadro legislativo sullo sviluppo sostenibile

Il Rapporto evidenzia una mancanza di coesione e di visione a lungo termine nell’approccio alle politiche di sviluppo sostenibile in Italia, con interventi isolati che non si inseriscono in un quadro strategico coerente.

Nel corso dei 18 mesi di attività il Governo ha approvato, oltre alla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (Snsvs), altri documenti programmatici fondamentali per il futuro del Paese, quali la bozza del Piano nazionale integrato energia-clima (Pniec), da rendere definitivo antro il 30 giugno di quest’anno, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), la Strategia nazionale per l’economia circolare e la Strategia nazionale per la biodiversità. Gli esperti e la società civile hanno accolto con favore questi documenti, anche se è stata osservata la scarsa ambizione di alcuni di essi e la mancanza di risorse adeguate in grado di trasformare i piani in atti concreti.

Per quanto riguarda la realizzazione delle missioni previste nel Pnrr, le informazioni messe finora a disposizione non risultano sufficienti per valutarne con precisione lo stato di avanzamento. Di conseguenza, appare indispensabile uno sforzo “risolutivo” da parte del Governo e degli enti territoriali per assicurare la diffusione di informazioni dettagliate e tempestive sullo stato del Pnrr.

Ma bisogna anche andare “oltre il Pnrr”, orientando gli altri fondi disponibili alle transizioni ecologica e digitale, al superamento delle disuguaglianze, alla tutela dell’ambiente e del territorio, al potenziamento del capitale umano.

Da questo punto di vista, si legge nello studio, “il Governo ha correttamente imposto, attraverso il decreto legge approvato a fine aprile sulla destinazione dei 75 miliardi del Fondo sviluppo e coesione 2021-2027, l’obbligo da parte delle Regioni e dello Stato di concentrare tali risorse su poche materie (risorse idriche, infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell’ambiente, trasporti e mobilità sostenibile, energia, sostegno alle imprese per le transizioni digitale e verde), in piena coerenza con quanto previsto nel Pnrr”.

Per quanto riguarda l’Europa, nonostante le tensioni politiche, l’attività legislativa ha mostrato un impegno senza precedenti sull’Agenda 2030 con un focus sul Green Deal, i diritti sociali e la transizione digitale.

Le nuove norme europee mirano a garantire stabilità finanziaria e prevedono maggiore flessibilità per la riduzione del debito pubblico, a condizione che vengano effettuati investimenti nelle transizioni verde e digitale, nella sicurezza energetica e nella resilienza sociale ed economica. Tuttavia, alcune importanti leggi europee, come la direttiva sulla due diligence delle grandi imprese, sono state ridimensionate o ritirate a causa di opposizioni interne ed esterne.

Nonostante i ritardi e le incertezze a livello nazionale sullo sviluppo sostenibile,
(…)

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