La parola sostenibilità tra uso e abuso, i buoni propositi dei giovani dieri e di oggi, il prezzo da pagare per avere vantaggi che spesso si rivelano non essere tali.

 

Quando il tanto uso si trasforma in abuso
La parola sostenibilità è finalmente diventata patrimonio di tutti. Un termine che ha saputo entrare nei discorsi dei politici, nei titoli sui giornali, nella bocca degli esperti e anche nella mente di chi vive in semplicità la sua esistenza quotidiana.

Molto più efficace, almeno qui da noi in Italia, di quanto lo era il freddo e non sempre compreso acronimo “CSR”, che ha rappresentato per molto tempo la prima avanguardia di un pensiero nuovo, proiettato verso la protezione del nostro pianeta. Un passaggio importante, non solo linguistico: la CSR chiama in causa soprattutto le imprese, che devono adeguare la propria attività alle esigenze della salvaguardia, in particolare, dell’ambiente naturale in cui siamo immersi. Sostenibilità è un termine invece che allarga il concetto, coinvolge molte più entità, arrivando a sfiorare ognuno di noi, ricordandoci che il salvataggio del nostro ambiente di vita – naturale, economico e sociale – dipende da tutti noi, nessuno escluso.

Un concetto dunque finalmente sdoganato: oggi di “sostenibilità” ne parlano davvero tutti. Ma come spesso accade, la troppa notorietà non sempre è destinata a durare. Anzi, il troppo parlare di un’idea, spesso anche a sproposito, finisce per svuotarla del suo significato. Presto, forse molto presto, questo termine diventerà dunque super abusato, nel migliore dei casi, o mal sopportato e addirittura osteggiato, nel peggiore.

Ci sarà dunque bisogno di trovare un nuovo termine che indichi la “bussola” che ci consenta di indirizzare il cosiddetto progresso in una direzione quanto più virtuosa possibile. Qualche proposta? Difficile farla, in genere questi concetti nascono da soli, si sviluppano in via naturale, non vengono imposti o programmati a tavolino. Però qualche idea potrebbe essere: condivisione, partecipazione, corresponsabilità, visione comune, salvaguardia, compartecipazione, sopravvivenza…

Storie di 50 anni fa… o di oggi?
Di recente mi è capitato sott’occhio un breve testo pubblicato su un giornale per ragazzi nel lontano 1972, giusto giusto 50 anni fa. Il testo, supportato da un’efficace illustrazione di Mario Uggeri, è intitolato “La civiltà comincia qui” e racconta di un gruppo di giovani studenti e operai che spontaneamente hanno deciso di dedicare una loro giornata alla pulizia di una parte di territorio del nord Italia “che era diventata uno squallido immondezzaio per l’accumulo di contenitori, scatole, bottiglie, cartacce e borsette di plastica abbandonati da turisti scorretti». L’iniziativa, sottolinea lo scrivente (anonimo) “merita di venire sottolineata perché determina e puntualizza quelli che sono i naturali confini tra la civiltà e l’inciviltà, tra l’istinto di sopravvivenza, che l’umanità ha manifestato per secoli, e l’atteggiamento rinunciatario, quasi suicida, di tanti uomini d’oggi. I giovani non vogliono in eredità un pianeta morto. E lo stanno dimostrando”.

Il mio primo istinto è stato di provare tanta ammirazione e tenerezza per quei giovani che 50 anni fa si sono mostrati così sensibili da dedicare un’intera giornata alla pulizia di un bosco diventato una discarica. Poi ho pensato che l’impulso che ha mosso quegli studenti e quegli operai è lo stesso che porta molti giovani di oggi a compiere le stesse azioni, nella convinzione che il loro sia un messaggio che porterà finalmente alla sensibilizzazione dell’umanità intera verso problematiche per tanto tempo accantonate nel nome di un progresso di cui sembra non si possa fare a meno.

Quante volte abbiamo sentito dire che i giovani di oggi “non vogliono in eredità un pianeta morto”. Proprio come quelli del lontano 1972, che nel frattempo sono invecchiati e chissà se si ricordano ancora di quella giornata passata a ripulire il loro boschetto pieno di rifiuti.

Il progresso non lo puoi fermare
Il progresso non lo si può fermare, questa è una delle affermazioni che l’umanità si tramanda da sempre di padre in figlio. Una massima che può avere una valenza positiva ma anche un’accezione negativa. Che la vita dell’uomo sia caratterizzata da una continua evoluzione è facile da dimostrare, basta sfogliare libri di storia, guardare vecchie fotografie, studiare trattati scientifici e analizzare opere di ingegno provenienti dal passato. Fantastico che sia così, ovvio, quanto è migliorata la nostra vita rispetto a quella dei nostri antenati?

Ma il progresso da una parte dà e dall’altra toglie. Ogni nostra conquista ha un prezzo, che nel tempo va pagato. Ogni epoca ha dovuto versare il suo contributo al progresso, è una regola che fa parte della nostra storia, ma la sensazione è che quello che dobbiamo corrispondere oggi sia ben più “caro” di quello corrisposto nei momenti storici precedenti.

Molti sono gli aspetti che inducono questo pensiero negativo: il fatto che siamo molti di più rispetto al passato, che siano aumentate le nostre capacità di “sfruttare” il pianeta, che la ricchezza e la qualità della vita siano mal distribuite come non mai nel mondo, che la tecnologia produca inquinamento a livelli mai raggiunti, che le materie prime siano destinate ad esaurirsi presto, che l’egoismo, l’indifferenza e la prepotenza siano diventati sempre più presenti nell’ambito dei rapporti tra gli umani.

Progresso e sostenibilità possono andare a braccetto? Lo potrebbero se si fosse capaci di governare il primo secondo i dettami della seconda. Ci si tenta, qualche persona virtuosa cerca di farlo, ma per riuscire a raggiungere questo obiettivo bisogna fare sì che quell’affermazione tramandata di padre in figlio diventi meno vera. Bisogna cercare di fermare, almeno in parte, il progresso. Riuscire a fare un passo indietro, a rinunciare ad alcuni vantaggi che vantaggi in realtà non si rivelano essere.

Facile a dirsi ma, fino a quando purtroppo non saremo messi con le spalle al muro – perché noi umani siamo fatti così – molto difficile da attuare.

di Luca Palestra
Caporedattore CSRoggi

(da CSRoggi Magazine, anno 7, n.1Gennaio/Febbraio 2022, pag. 50)

 

 

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