La storia che raccontiamo è la storia virtuosa di un territorio dove, nell’ultimo secolo, l’attività produttiva si concentra su un sapere e su ima tradizione artigianale di alta eccellenza: l’ideazione e la produzione di scarpe femminili di moda. Si tratta del distretto calzaturiero del Rubicone, che comprende, tra gli altri, i comuni di San Mauro Pascoli, Savignano e Gatteo, in provincia di Forlì. Circa cento imprese per oltre tremila addetti.

Conosciuto come uno dei migliori contesti manufatturieri del made in Italy (particolarmente per le fasi di cucitura e finitura che richiedono abilità superiori), una decina di anni fa l’area romagnola comincia a manifestare un problema che può metterla al tappeto: la forza lavoro — prevalentemente femminile e di giovane generazione — segnala crescenti difficoltà a sopportare un carico di lavoro che «si mangia» la vita privata. Così, molte lavoratrici dimostrano progressivamente la loro insoddisfazione con sintomi quali alto turnover e assenteismo, fino ad abbandonare l’attività in fabbrica, preferendo altri mestieri più flessibili. D rischio era che, insieme a loro, si allontanasse anche il know how longevo che è il più denso patrimonio cognitivo del territorio. La minaccia concreta è lo spegnimento del distretto, poiché l’appeal delle aziende calzaturiere scema per giovani e donne. E ciò innesca nelle imprese la tentazione di delocalizzare o trovare risposta nella mano d’opera straniera, che potrebbe interrompere la tradizione artigianale della comunità locale.

Gli obiettivi
L’allarme emerge intorno al 2015 e i governanti si domandano quali potrebbero essere le linee di intervento per non buttare a mare una storia industriale di successo. La sindaca di San Mauro Pascoli (paese che ha dato i natali a Giovanni Pascoli), Luciana Garbuglia, insegnante alla locale scuola Montessori, si arrovella sulle soluzioni. A darle una mano interviene Luca Piscaglia, consulente del lavoro nell’area romagnola, che si inventa il «Distretto della felicità».

L’idea è di fare in modo che i locali stabilimenti ritornino attrattivi per i Millennials e si costruisca un nuovo modello che consenta di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, immaginando una collettività più serena e un modello sociale sostenibile e—perché no — replicabile da altre parti. Insomma, un welfare lavorativo che aiuti a riportare il territorio alle tradizioni e alla ricchezza di un tempo che fu. Per molti un’utopia. Ma Piscaglia non molla e coinvolge le imprese della zona, le organizzazioni sindacali, Italia Lavoro (oggi Anpal), la CCIAA della Romagna. Il vecchio sistema di fabbrica diventa il bersaglio degli innovatori, e cade il primo tabù: l’orario di lavoro, storicamente su due turni dalle 8.00 alle 12.00 e dalle 14.00 alle 18.00. Questo modello aveva retto con la famiglia allargata, che prevedeva la convivenza di genitori e nonni sotto lo stesso tetto.

Oggi però i Millennials hanno una famiglia più «nucleare» e gli orari spezzati «infliggono con le nuove esigenze famigliari. La modifica dell’orario di lavoro è quindi il cavallo di Troia per cambiare il modello di organizzazione aziendale e sociale. Si prova a ridurre di un’ora la pausa pranzo, consentendo di anticipare l’uscita dall’azienda. Viene consentita una flessibilità oraria, dando discrezionalità all’operatore di definire i tempi, pur mantenendo un contributo lavorativo di qualità.

Si creano gruppi omogenei di trasformazione, con logiche di mutuo aggiustamento tra i lavoratori. Si permettono, ove possibile, occasioni di telelavoro, aiutando le persone con nuove dotazioni tecnologiche. E si accompagna il tutto con un nuovo sistema di benessere locale condiviso da tutti gli attori coinvolti (dai cittadini alle aziende, passando per le amministrazioni comunali e i servizi). Si rimodella la vita della comunità, intervenendo sui finanziamenti, sugli asili, sui sistemi di trasporto, sulle strutture per l’infanzia e per gli anziani, sulla pulizia, sullo sport. In poche parole, si libera il tempo delle persone, costruendo una atmosfera sociale più piacevole. La conseguenza di tutto ciò è oggi visibile nel sistema cittadino. Si è scoperto che il «Distretto della felicità» ha ridato una nuova identità alle persone e una nuova motivazione al lavoro, in un settore che è sempre stato fierezza e orgoglio per i cittadini del Rubicone.

Tra le aziende che hanno aderito al progetto, Giuseppe Zanotti, calzature e accessori di lusso con sede a San Mauro Pascoli. L’azienda ha introdotto un nuovo assetto di orari e ha la adottato la flessibilità in entrata e in uscita. Sulla stessa linea anche Punto Più, azienda di «artigianato artistico» che si distingue per l’alto livello delle decorazioni realizzate su tomaie, 40 dipendenti per lo più donne. Liberare più tempo libero a disposizione per le lavoratrici è l’obiettivo che ha spinto Fai Adriatica (produzione di suole e solette) di Gatteo ad aderire al piano. Qui i manager sono convinti: armonizzare i tempi di vita eleva la condivisione aziendale, e favorisce la crescita e lo sviluppo del business.

di Severino Salvemini

(da L’Economia del Corriere della Sera del 7 settembre 2020)

 

 

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