Ci può essere molta poesia nell’economia sostenibile che si coniuga all’aspetto fattivo, operoso delle aziende. Ancora di più se viene applicata nel pianeta dell’esclusione per antonomasia: il carcere. Un’indagine di CSRoggi attraverso il racconto di diversi progetti realizzati dalle imprese insieme a molteplici partner.

(leggi l’articolo di Cristina Giudici  qui sotto, oppure da CSRoggi Magazine – n.1 – Anno 10 – Gennaio/Febbraio 2025; pag. 48)

Cristina Giudici
Giornalista

Oggi nei 190 istituti penitenziari dove, secondo la Costituzione, la pena deve essere rieducativa ma in realtà non lo è quasi mai, tranne per alcune esemplari eccezioni, il lavoro rappresenta uno strumento fondamentale per poter dare una seconda chance ai detenuti e alle detenute per reinserirsi nella società. Ecco perché le carceri sono il luogo deputato a mettere in atto il concetto di sostenibilità sociale che sta aiutando a far evolvere il concetto di mera solidarietà (o filantropia) verso un approccio più concreto, per innescare un circuito virtuoso di economia circolare che aiuti al contempo la società a diventare più consapevole.

Se la Repubblica è fondata sul lavoro, per quanto riguarda i carcerati l’articolo 27 comma 3 prevede che la finalità della pena debba essere quella di attuare la rieducazione tesa al reinserimento sociale. Il principale strumento per raggiungere questo obiettivo è l’apprendimento di un mestiere che, insieme allo studio, permetta di creare competenze professionali e ottenere più chances di inserirsi nel mercato del lavoro una volta espiata la pena, limitando il rischio di recidiva dei reati. Il lavoro dentro le carceri è stato definito in modo specifico nella Legge 354/1975 dell’ordinamento penitenziario (articolo 20, comma 2) per garantire al maggior numero di detenuti con condanna definitiva (art. 20 comma 3) l’espiazione della pena che non sia solamente afflittiva.

Lavorare per reinserirsi
Secondo il ventesimo rapporto dell’osservatorio sulla detenzione curato dall’associazione Antigone pubblicato nel 2024, in 99 istituti penitenziari visitati, i detenuti e detenute lavoranti rappresentavano il 32,6%: una percentuale che evidenzia un lieve aumento rispetto al medesimo dato rilevato l’anno precedente su 97 istituti visitati. Le persone recluse alle dipendenze di datori di lavoro esterni risultano pari al 3,2 per cento –

sempre in relazione agli istituti visitati – in tal caso in diminuzione rispetto a quanto riscontrato nel 2022. In aumento la rilevazione relativa alle persone coinvolte in progetti di formazione professionale, pari al 10,6%. Le persone coinvolte in lavori di pubblica utilità, infine, sono risultate pari a 90.

“In generale, le percentuali di detenuti lavoranti alle dipendenze di datori di lavoro esterni restano molto basse: solo 7 istituti, tra quelli visitati, superano il 10% delle persone coinvolte e si tratta di istituti di piccole dimensioni siti prevalentemente nel Nord-Italia o Centro-Nord”, si legge nel rapporto.

Sul sito web del ministero di Giustizia, si trovano i nomi delle tante imprese che possono accedere all’interno delle strutture penitenziarie, grazie alle agevolazioni fiscali della legge Smuraglia. Abbiamo scelto alcuni progetti che ci sono sembrati più innovativi rispetto ai criteri della sostenibilità recepita dalle diverse normative europee.

 Ethicarei.
La cooperativa sociale Alice e il distretto ecosostenibile del fashion

La storia della cooperativa Alice parte da lontano, oltre 30 anni fa, da una sartoria nel carcere di San Vittore dove oggi è complicato operare per il sovraffollamento e il turn over delle detenute. Nel frattempo la Cooperativa è cresciuta e ha adottato la filosofia sostenibile con il triplo obiettivo: fair trade, (commercio equo), reinserimento delle detenute attraverso un mestiere artigianale molto richiesto e vincere la sfida del mercato. Basta con i corsi di formazioni, donazioni, bandi fini a sé stessi.

«Noi dobbiamo stare sul mercato perché creiamo figure professionali preziose. E alle detenute offriamo un percorso per crearsi una nuova identità che prescinda dal reato – spiega la presidente Caterina Micolano -. Per noi, loro non sono il reato che hanno commesso, ma persone vulnerabili che si stanno creando una nuova identità».

Dalla sua nascita nel 1992, la cooperativa Alice combatte i pregiudizi, riabilita le recluse attraverso un lavoro equamente retribuito. Si impegna a tutelare le tradizioni più autentiche del “Made in Italy” e incoraggia le persone e le aziende a sviluppare stili di vita sostenibili. Le lavoratrici della cooperativa Alice, all’interno delle sezioni femminili (e non solo) delle carceri lombarde, imparano un mestiere, aiutano a preservare e diffondere il know how italiano e, grazie al loro lavoro, tornano a essere soggetti attivi dell’economia locale così come prevede la Costituzione italiana. E ad assumere un ruolo positivo nella società, diventando protagoniste di progetti. Con il suo impegno quotidiano la cooperativa Alice ha permesso a più di 450 donne emarginate di raggiungere l’indipendenza economica.

Da tre anni il progetto si è ingrandito e ha preso in gestione il laboratorio di sartoria presente all’interno dell’Istituto Razzetti di Brescia, grazie alla collaborazione del brand Calcaterra. Alla luce della crescente domanda di supply chain sostenibili anche dal punto di vista sociale, ha avviato il distretto di Ethicarei: un network composto da diversi laboratori che oltre all’attenzione all’ecosostenibilità, hanno l’obiettivo di favorire inclusione lavorativa per diverse categorie vulnerabili (richiedenti asilo, vittime di violenza) tramite importanti skills tecniche e organizzative, grazie all’implementazione del WFTO, il World Fair Trade Organization, che rappresenta i produttori e le imprese di Commercio Equo in tutto il mondo.

«Assumiamo le sarte che lavorano anche all’esterno, grazie alle misure alternative dell’articolo 21. Lavoriamo negli istituti di Bollate e Monza, collaboriamo con diversi brand, come Armani, Aspesi, Chloé, Zanellato fra gli altri. E, importante, ci avvaliamo della collaborazione dei maestri artigiani, che hanno lavorato per gradi brand come Chanel».

Confindustria afferma che mancano 300mila artigiani, perciò si creano figure specializzate per incrociare offerta e domanda. «Noi siamo partner ideale per i rating necessari a rispettare le direttive europee che valutano gli indici di eticità e inclusione perché ora anche le aziende di medie dimensioni devono confrontarsi con la sostenibilità e sul piano sociale deve ancora crescere la loro consapevolezza», conclude la presidente Caterina Micolano. Passi enormi per una cooperativa nata dentro il carcere milanese di San Vittore che, come tutte le carceri per di più sovraffollate, è luogo di uomini, violenza, disperazione con spazi pensati per gli uomini.

Oltre al programma di Bollate, l’organizzazione no-profit gestisce un atelier di pelletteria nel vicino carcere di Monza, gestito da detenuti maschi; un laboratorio di sartoria per donne in fuga dalla violenza e dall’incertezza economica, presso l’Istituto Vittoria Razzet- ti di Brescia; la Sartoria San Vittore, un negozio di sartoria a Milano che impiega principalmente donne che hanno concluso la pena o possono lavorare all’esterno grazie all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario.

I clienti spaziano dall’Emporio Armani al sistema giudiziario italiano, per il quale la sartoria San Vittore ha cucito più di 3mila toghe per giudici. Nelle sartorie, le lavoratrici vengono trattate con la stima professionale che spetta a delle abili sarte, ha affermato Caterina Micolano, e sono pagate 1.350 euro (1.497 dollari) al mese, con almeno tre settimane di ferie retribuite e contributi previdenziali, stipendi e benefici simili a quelli offerti nei contratti di sartoria in tutta Italia, finanziati dai proventi delle commissioni di cucito dell’organizzazione. Insegnanti volontari, alcuni provenienti da case di produzione che collaborano con marchi di moda di alta gamma, conducono corsi di sei mesi sulle basi della cucitura presso le quattro sedi della Cooperativa Alice e, per gli studenti che mostrano destrezza e promessa, corsi aggiuntivi nella realizzazione di capi d’abbigliamento e pelletteria.

Attualmente, la cooperativa Alice impiega solo due detenute di Bollate, anche se altre due sono nel corso di formazione, e il mese prossimo il carcere aprirà un nuovo laboratorio che potrebbe accogliere 10 persone.

 Diventare montatori grazie a un patto interculturale e intergenerazionale
Meno male che Domani è lunedì è un docufilm diretto da Filippo Vendemmiati, girato nel capannone creato all’interno del carcere Dozza di Bologna: si tratta di un viaggio nel lavoro in carcere che rappresenta l’unica speranza cui aggrapparsi, senza restare fermi a vedere il tempo che scorre e può fare impazzire o, peggio, non offrire altra alternativa a quella di continuare a stare seduti sui banchi della scuola “deviante” che impedisce di immaginare un cambio di segno del proprio destino.

Si ride, si scherza, si lavora, si discute duramente su un lavoro fatto male, si piange con gli occhi asciutti, ma soprattutto si fa squadra. Si tratta di un ritratto potente del superamento della discrasia fra la privazione della libertà e l’evasione grazie all’apprendimento del mestiere complesso del montatore. Girato in presa diretta, le scene non sono né preparate né costruite, seguendo una narrazione che alterna dialoghi a storie del passato degli intervistati. La forza delle immagini che scorrono serve a capire cosa significhi il lavoro in carcere per un progetto pilota nato nel 2012. L’impresa sociale FID (Fare Impresa in Dozza) è stata costituita nel 2010 dalle aziende leader metalmeccaniche nel settore del packaging a Bologna (G.D, IMA e Marchesini Group) assieme alla Fondazione Aldini-Valeriani, cui si è poi aggiunta il gruppo FAAC.

La mission di FID è quella di far diventare i carcerati montatori, attraverso l’insegnamento e l’affiancamento di tutor volontari che sono operai specializzati pensionati delle aziende che si sono unite per mettere a terra il progetto imprenditoriale all’interno della casa circondariale Dozza e, al termine della pena, fornire il supporto per l’assunzione nella catena di fornitura del territorio bolognese.

L’amministratore delegato di FID è Gian Guido Naldi, già segretario della FIOM regionale Emilia Romagna che ora guida il team dei tutor volontari per aiutare i carcerati a diventare operai specializzati: sono questi i miracoli dell’economia circolare. Lui era sindacalista di una delle aziende coinvolte nel progetto: G.D. E ci spiega che si viene a creare una tripla alleanza: «Fra persone libere e detenute, giovani e i tutor, cittadini italiani e stranieri. Attraverso il confronto, succedono tante cose: diventiamo amici, confidenti e li sosteniamo anche all’esterno. Diventare montatori è un mestiere complesso: bisogna imparare a leggere il disegno del progetto, montare meccanismi complicati con precisione non è un passatempo e permette ai carcerati di diventare professionisti in grado di inserirsi nel mercato del lavoro. Inoltre si creano legami profondi e poi, una volta usciti, li seguiamo affinché non si perdano nelle difficoltà quotidiane della libertà».

Il progetto aiuta anche i tutor che hanno una forte identità professionale frutto del proprio attaccamento alla cultura di impresa. Nel docufilm – uscito nel 2014 e oggi sembra una profezia – si vedono i tutor nella loro generosa durezza emiliana elettrizzati, pragmatici, giocosi mentre nello scambio umano e professionale trasmettono ai detenuti lavoranti tutto quello che hanno imparato durante una vita, filosofia di vita compresa. E infatti gli apprendisti arrivano a dire «dietro una grande macchina, ci deve essere un grande montatore».

«Bisogna imparare a ragionare e poi lavorare», ordina un tutor. «Non si muove foglia che il tutor non voglia», scherza un detenuto mentre un altro spiega il terrore dei weekend passati in carcere, senza lavorare. Da questa esperienza visionaria e unica in Italia, è nato nel 2023 anche un libro per riflettere su quello che accade dopo, nel disorientamento della libertà. Come vivere, dove vivere, come affrontare lo stigma; evitare solitudine e isolamento. Si intitola “La fabbrica in carcere e il lavoro all’esterno Uno studio di caso su Fare Impresa in Dozza” ed è stato curato dal dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Bologna.

FID si propone di dare ai lavoratori capacità professionali spendibili, una volta terminata la pena, per un buon inserimento lavorativo, elemento fondamentale per contrastare il rischio di reiterazione dei reati, realizzando lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici per le imprese socie, grazie all’assunzione con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, vincolato al termine della detenzione e pattuito con le organizzazioni sindacali di categoria, di circa 75 detenuti fin ad oggi. Il settore di operatività è caratterizzato da un’elevata tecnologia meccatronica e da una grande personalizzazione del prodotto: richiede pertanto alte professionalità, con una formazione e applicazione di svariati anni affinché il lavoratore possa essere autonomo, in un ambito dove non si finisce mai di imparare.

I collaboratori-detenuti, formati dalla Fondazione Aldini Valeriani, lavorano sotto la supervisione di un gruppo di tutor e, alla fine della loro pena detentiva, vengono aiutati a trovare un’occupazione stabile nel territorio, presso i fornitori delle stesse aziende. Funziona così: l’istituzione carceraria richiede ai detenuti una manifestazione di interesse e poi l’area educativa fa una prima selezione, cui ne segue un’altra da parte di FID, per accedere al corso di 280 ore tra lezioni teoriche e stage in officina. Al termine i corsisti sono sottoposti a un esame attitudinale, con una commissione di docenti esterni, superato il quale si ha la possibilità di essere assunti in FID.

Per la crescita professionale dei lavoratori è indispensabile la presenza dei tutor che mettono a disposizione il loro tempo come volontari per trasmettere la loro preziosa esperienza professionale. Si tratta di consigli, suggerimenti, trasmissione di competenze e tecniche di lavorazione affinché i lavoratori capiscano la lettura del disegno meccanico e delle operazioni di montaggio.

I tutor sono portatori di un’esperienza di vita nella quale il lavoro è stato lo strumento di emancipazione e conquista della dignità e i detenuti possono beneficiare di questa esperienza, utilizzandola a loro volta nel loro percorso lavorativo dentro e fuori dal carcere.

Per FID il valore di questa collaborazione sta nell’aver fatto incontrare due culture: ex lavoratori esperti e neo-lavoratori in formazione, come “padri e figli” che si sono scambiati storie e lezioni di vita. Le figure dei tutor si sono dimostrate un tassello essenziale del progetto, poiché non si sono limitati a una formazione tecnica ma sono quasi diventati dei “maestri di vita” per persone che, pur avendo commesso un reato, si stanno impegnando per costruire un futuro migliore.

Il progetto rappresenta un’esperienza unica in Italia e sta dimostrando come, assieme all’apprendimento di un mestiere e di competenze spendibili nel mondo del lavoro, la creazione di un ambiente dove si possano sviluppare buone relazioni umane abbia un effetto trasformativo, che favorisce un migliore reinserimento nella società. Nell’ultimo anno, a supporto di questo percorso, è stato coinvolto anche un team di psicologi del centro Mood di Bologna.

Uno dei risultati misurabili più importanti del progetto è stata la drastica riduzione della percentuale di reiterazione dei reati (la percentuale è scesa da 60% a 10%) da parte di coloro che hanno seguito tutto il percorso formativo e lavorativo, fino al compimento della pena in carcere. Un numero significativo di ex collaboratori FID ora lavora in aziende metalmeccaniche dell’indotto del packaging, anche con ottimi profili di carriera. Obiettivo sostenibile: ridurre la recidiva dei reati, assumere mano d’opera specializzata con un contratto metalmeccanico (fino ad oggi ne sono stati assunti 75).

Economia circolare: il tutor è un pensionato che torna a lavorare per permettere di creare la figura degli operai specializzati, difficili da trovare all’esterno, generando una filiera umana e professionale. Gian Guido Naldi, era infatti sindacalista Fiom della G.D. prima di diventare tutor del progetto finanziato anche dall’impresa in cui lavorava. I contenuti tecnici impartiti, a cura della Fondazione Aldini Valeriani e di tutor esperti nel settore del packaging, sono finalizzati all’acquisizione delle abilità professionali necessarie per l’assemblaggio di pezzi meccanici e la costruzione di semplici componenti. I soci fondatori Maurizio Marchesini, Isabella Seràgnoli e Alberto Vacchi hanno voluto realizzare il progetto per le spiccate finalità sociali e il loro senso di responsabilità nei confronti del territorio su cui operano, con l’auspicio che numerose altre aziende possano in futuro accrescere le fila dei sostenitori FID, come avvenuto per il Gruppo FAAC. Sembra superfluo aggiungere che per entrare nel capannone della FID, c’è una lunga lista di attesa.

Le Cherries che coniugano l’innovazione, scarti industriali e inclusione sociale per creare l’economia circolare
Con Cherry way to Christmas 2024, la banca padovana ha lanciato la seconda edizione dell’iniziativa benefica dedicata ai propri dipendenti che unisce artigianato, inclusione, economia circolare e solidarietà, grazie al lavoro delle cooperative che già operano nelle sartorie della Dozza e nella casa circondariale femminile sull’isola veneziana della Giudecca, sorta all’interno di un antico monastero.

«Cherry way nasce nel febbraio del 2022 insieme al rebranding della banca. L’iniziativa rientra nel Piano di Sostenibilità dell’istituto bancario padovano guidato da Giovanni Bossi, per il reinserimento sociale e lavorativo delle donne detenute, collaborando con realtà locali che promuovono inclusione e moda circolare» spiega Maddalena Ganz, responsabile Marketing e Comunicazione di Cherry Bank.

Per il 2024, Cherry Bank ha commissionato a due cooperative sociali, “Baumhaus” e “Il Cerchio”, il processo creativo e la selezione dei materiali, mentre i laboratori sartoriali della cooperativa “Gomito a Gomito” prodotti nella casa circondariale di Bologna e di Banco Lotto N°10 nella casa di reclusione femminile sull’isola della Giudecca, hanno diretto la creazione della Capsule collection. «Ogni pezzo della collezione, lavorato a mano dalle donne detenute, è realizzato con tessuti di scarto e rimanenze di magazzino, riutilizzati per creare accessori sostenibili e di alta qualità, articoli pensati per portare calore e stile nelle case durante le festività. Gli accessori della collezione Cherry way Fall-Winter 2024 sono state disponibili esclusivamente per le Cherries per una donazione su una piattaforma web dedicata, predisposta dall’Università degli Studi di Padova. I proventi raccolti erano destinati a tre importanti iniziative promosse dall’ateneo: le borse di studio “Students at Risk”, a sostegno di studenti e studentesse internazionali in situazioni di pericolo; il Progetto Emergenza Bostrico, per la tutela delle foreste; il Fondo Inclusione e Disabilità, per migliorare l’accesso all’istruzione universitaria». Ora questo progetto avrà una terza edizione per allargare il network.

Circuito sostenibile: le aziende riciclano i materiali da scarto ma di qualità che servono alla produzione e alla riqualificazione dei manufatti artigiani e delle vite delle recluse. L’ufficio studi della banca ha condotto una ricerca approfondita, creando un osservatorio sul distretto calzaturiero della Riviera del Brenta. Grazie a questo lavoro, sono state instaurate relazioni con le aziende del distretto e con il Politecnico Calzaturiero, una rinomata istituzione di formazione. Da queste collaborazioni sono giunte donazioni di scarpe, pellami e altri materiali, derivanti da celebri maison. Ogni articolo è stato venduto a un prezzo prestabilito, con l’obiettivo di raccogliere fondi tramite donazioni da parte dei dipendenti. «Un’iniziativa che è stata vista come un’opportunità preziosa, non solo per fornire competenze professionali a donne in cerca di una seconda opportunità ma anche come parte integrante del nostro piano di sostenibilità triennale 2023-2025, che si impegna a supportare categorie svantaggiate – concludono Maddalena Ganz e Andrea Bacciolo, marketing specialist di Cherry Bank -, dimostrando che anche le piccole iniziative possono avere un grande impatto».

Il Cerchio: dalle Cherries a Papa Francesco, dalla Fenice ai teatri di Vienna
La cooperativa sociale Onlus “Il Cerchio”, oltre a dare un contributo al progetto delle Cherries, affianca le detenute con progetti ambiziosi che hanno richiamato anche l’attenzione di Papa Francesco, atterrato nel carcere il 28 aprile dello scorso anno.

Il Cerchio offre una vasta gamma di servizi alle imprese locali, dal centro storico alle isole della laguna: dalle pulizie alla manutenzione del verde, dalla ristorazione collettiva fino alle attività all’interno della casa di reclusione femminile della Giudecca, con la gestione di una lavanderia industriale e un laboratorio di sartoria.

«Abbiamo replicato la stessa esperienza fatta con Cherry bank anche alla Galleria Borghese di Roma, con dei gadget come pochette, bustine, portamonete – spiega Andrea Toniolo, responsabile delle attività alla casa circondariale Giudecca -. Facciamo diverse attività fra cui la sartoria e la lavanderia industriale dotata di impianto di depurazione autonomo monitorato dal magistrato alle acque ed è l’unica lavanderia industriale all’interno del centro storico di Venezia. Fra i nostri clienti annoveriamo fra gli altri l’hotel Hilton, il Danieli, il circolo ufficia li della Marina Militare, una miriade di B&B. Di fatto affianchiamo le educatrici della casa Giudecca. Ci vengono affidate persone che non hanno mai visto un contratto di lavoro, non hanno mai visto un cedolino paga né hanno mai avuto una formazione specifica su un ambito lavorativo: le prendiamo per mano e, dopo una prima diffidenza iniziale, le donne recluse cominciano un percorso virtuoso e sostenibile.

Ad esempio, per il lavaggio ad acqua utilizziamo l’ozono, detersivi ecosostenibili a bassissimo impatto ambientale e curando tantissimo la sanificazione e igiene dei tessuti perché con l’ozono si ottiene un’azione disinfettante molto potente. E cioè una tecnologia avanzata che garantisce una sanificazione superiore e una maggiore tutela della salute. Questa innovazione non solo ottimizza le prestazioni dei detersivi, ma consente anche di ottenere risultati eccezionali a basse temperature, riducendo l’usura dei tessuti e prolungandone la durata nel tempo. Si tratta di una doppia sfida imprenditoriale e sociale: creare delle figure professionali che entrano nel mercato del lavoro, ci restano con una nuova dignità sociale, e dall’altra dare una riposta alle aziende in cerca di artigiane che spesso non si trovano e diventano una risorsa. Alcune sono uscite e hanno trovato un lavoro, altre sono entrate nella cooperativa. Le detenute straniere, in maggioranza sinti, è più difficile che si emancipino dalla violenza maschile della loro comunità e qualcuna poi scompare».

Oltre ad avere lavorato con il teatro La Fenice, ora la direttrice dei teatri di Vienna ha chiesto al “Cerchio” di confezionare abiti di scena per otto teatri. E a Papa Francesco è stato donato uno zucchetto creato con il tessuto della sartoria che serve il Vaticano. Probabilmente non sarà l’unico.

Bancolotto N.10, formazione e lavoro per le detenute
Bancolotto N.10 è un progetto di reinserimento sociale de Il Cerchio Cooperativa Sociale Onlus che nel 2001 ha creato il Laboratorio di Sartoria Interno alla Casa di Reclusione Femminile di Venezia, alla Giudecca, per poter offrire formazione e lavoro alle detenute. Una sfida nata dal 1997. L’obbietti- vo del progetto fin dalla sua nascita è poter offrire alle recluse un’esperienza carceraria diversa, per favorire un cambiamento concreto con un approccio centrato sulla riabilitazione attraverso il lavoro, per rendere effettivo il principio di rieducazione della pena sancito anche dalla nostra Costituzione.

Attraverso il marchio di moda etica Bancolotto n.10, si disegnano, producono e distribuiscono i capi sartoriali realizzati nel Laboratorio di Sartoria all’interno della Casa di reclusione Femminile della Giudecca, partendo da tessuti naturali. II progetto negli anni ha preso sempre più forma anche grazie alle importanti collaborazioni nel territorio di Venezia, prima fra tutti quella con il Gran Teatro La Fenice per realizzare costumi di scena.

«Tenere aperto un canale di comunicazione tra l’interno del carcere e l’esterno promuovendo quello che stiamo costruendo è una questione dirimente. Negli anni abbiamo organizzato esposizioni e sfilate dove gli abiti e il lavoro di queste donne diventano i veri protagonisti. Grazie a partnership locali, gli eventi sono stati realizzati in luoghi suggestivi come il salone degli Arazzi alla Fondazione Giorgio Cini, e gli hotel più lussuosi del veneziano – sottolinea Adriano Toniolo -. consideriamo il lavoro in carcere un ponte tra il mondo fuori e quello dentro, capace di alimentare una visione positiva del futuro, rompere la routine mentale e fisica e innescare un circolo virtuoso. I capi nascono da metrature ridotte di tessuti acquistati, donati o recuperati, spesso sono tessuti con una loro storia da raccontare e trovano nuova vita nel nostro laboratorio per creare capi di qualità che possano essere apprezzati per il loro valore artigianale e riconoscere alle recluse una gratificazione inestimabile».

Dal 2003 è stata iniziata commercializzazione dei capi confezionati per garantire la sostenibilità finanziaria del progetto. «Il marchio Bancolotto n.10 – conclude Toniolo – nasce ufficialmente con l’inaugurazione del punto vendita ispirato dalla sua insegna vintage che un tempo ospitava una ricevitoria del lotto. Oggi il negozio si è trasferito nel Sestriere San Polo e mantiene la stessa insegna. Al negozio fisico si aggiunge il Temporary shop che la Biennale di Venezia ci concede ogni anno da oltre 10 anni, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia al Lido, e la prospettiva di aprire un canale di vendita online con lo sviluppo di una nuova piattaforma e-commerce».

La sartoria esterna
A Sacca Fisola, poco distante dalla Casa di Reclusione sorge anche il laboratorio esterno, dove le donne possono lavorare, non solo a fine pena ma anche all’esterno grazie alle misure alternative alla detenzione. ll lavoro sartoriale porta ad acquisire nelle detenute la fiducia e la consapevolezza di sé, ricordando a tutti noi che la moda è un mezzo di espressione universale.

Arriva il codice deontologico per la sostenibilità anche del distretto edile
Incrementare le opportunità di lavoro tra le persone detenute e favorire il loro reinserimento sociale: sono questi gli obiettivi che hanno spinto l’Amministrazione penitenziaria della casa di reclusione di Opera, Assimpredil Ance, FENEAL UIL, FILCA CISL, FILLEA CGIL, ESEM-CPT, Umana SpA, Fondazione Don Gino Rigoldi a firmare un protocollo d’intesa nel febbraio del 2023 per lo svolgimento di attività di formazione e creare una scuola edile dentro l’istituto penitenziario di Opera, gestita da ESEM-CPT, ente unificato formazione e sicurezza che si occupa della formazione dei soggetti individuati attraverso un percorso mirato a creare le competenze di base per poter accedere in cantiere.

Umana e Assimpredil Ance, a partire dalla loro Convenzione nazionale, informeranno le aziende delle opportunità offerte dalla somministrazione di lavoro. Le aziende si sono rese disponibili a illustrare gli eventuali incentivi e/o le agevolazioni per l’assunzione sia dei soggetti destinatari del progetto sia alle aziende interessate a tali assunzioni.

La Fondazione Don Gino Rigoldi, promotrice del progetto, favorisce la collaborazione tra le parti, mette a disposizione eventuale personale per il tutoraggio, si impegna a presentare il progetto nelle sedi opportune per raccogliere risorse economiche, necessarie per la realizzazione del progetto.

Il protocollo, valido per 5 anni, permette di “umanizzare” chi è recluso, come ha affermato Silvio Di Gregorio, direttore del carcere di Opera, perché permette di realizzarsi e contribuire al progresso materiale e sociale della propria comunità. Ci spiega Regina De Albertis, Presidente di Assimpredil Ance, associazione delle imprese edili e complementari delle province di Milano, Lodi e Monza Brianza: «Si tratta di un risultato importante, frutto di un lungo lavoro, raggiunto grazie alle sollecitazioni di Don Gino, alla lungimiranza del direttore del Carcere di Opera, alla piena disponibilità e convinta adesione da parte di tutti i soggetti coinvolti nel protocollo. Importante soprattutto perché la filiera edile è complessa e porta avanti la transizione energetica attraverso 400mila addetti diretti e indiretti» racconta la presidente Regina De Albertis.

Il progetto è partito da una chiacchierata con don Gino Rigoldi per sostenere i detenuti e formare le risorse richieste dal mercato. Per questo motivo Assimpredil Ance ha ideato anche il Codice di Condotta Volontario per la messa in atto di comportamenti orientati alla decarbonizzazione, alla tutela dell’ambiente in un’ottica di economia circolare, la legalità, la regolarità contrattuale nei rapporti di lavoro, la sicurezza e la prevenzione della salute dei lavoratori, al sociale e alla catena di fornitura nell’ambito più generale della responsabilità sociale d’impresa».

Il codice di condotta volontario potrà essere utilizzato dalle imprese associate attraverso la sottoscrizione, da parte di ciascun soggetto aderente, del Manifesto che prevede gli 8 impegni di sostenibilità, nel rispetto della logica Planet – People – Profit che è alla base dei criteri ESG (Environment, Social, Governance) per gli investimenti sostenibili. Si tratta di criteri che diventano premianti nei bandi e quindi rappresentano un vantaggio competitivo. Ormai nessun settore può esimersi dalla promozione dello sviluppo sostenibile dei cantieri e diverse aziende lo stanno adottando».

La Piattaforma Cantiere Impatto Sostenibile (CIS) è stata sviluppata grazie a un progetto promosso da A.i.e. servizi srl e Assimpredil Ance, insieme a un partenariato composto da imprese del settore edile e istituzioni del mondo della ricerca, che ha ottenuto un finanziamento da Regione Lombardia nell’ambito del bando “Innovazione dei processi e dell’organizzazione delle filiere produttive e di servizi e degli ecosistemi industriali produttivi ed economici in Lombardia”.

La piattaforma è stata ideata e sviluppata con Refe Strategie di Sviluppo Sostenibile, in collaborazione con Fincons Group. La visione comune degli attori coinvolti nel progetto di filiera CIS è che un modello di impresa basato sui principi della sostenibilità è un modello più competitivo sul mercato oltre che innovativo. Per far crescere una filiera che aderisce pienamente a questa visione è necessario mettere a sistema la cultura dell’impatto sostenibile investendo, in via prioritaria, su un codice comune di condotta che risponde alle logiche ESG e all’Agenda 2030 (Protocollo Cantiere Impatto Sostenibile).

La filiera delle costruzioni è molto ampia e frammentata, ha una prevalenza di piccole e medie imprese, necessita di strumenti diversi da quelli disponibili per le filiere manifatturiere. Per questo si è deciso di lavorare sull’implementazione e l’utilizzo di una piattaforma digitale di condivisione, di orientamento e interazione su temi e azioni di sostenibilità, mettendo a disposizione strumenti operativi concreti e specifici per il cantiere edile, supportando il posizionamento competitivo dell’ecosistema lombardo dell’edilizia.

Nel manifesto da implementare ci sono tutti i principi di un’evoluzione radicale e al punto 3 parla di “tutela dell’ambiente ed economia circolare è l’impegno che innesca un processo di economia circolare partendo dal consumare meno, dal ridurre la produzione di scarti e dal fare scelte che favoriscono il recupero”.

Conclusione
Non sappiamo quale sia l’impatto della sostenibilità sociale ed economica nelle carceri italiane, ma sappiamo che il passaggio dalla formazione fine a sé stessa all’economia circolare in grado di creare una filiera umana può e deve essere l’inizio di una nuova era.

(6 marzo 2025)

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