Barbara Cominelli, CEO di JLL Italia: «C’è, oggi, una grande accelerazione sul ripensamento delle città. Si pensa ad agglomerati urbani con tanti poli, in cui tutto sia a portata di mano, a misura d’uomo e raggiungibile in poco tempo – il cosiddetto modello di “città dei 15 minuti” – in un’ottica di mobilità un po’ più sostenibile e di creazione di ecosistemi di innovazione e di inclusione».

JLL è tra le principali realtà mondiali operanti nel settore del real estate. Un settore che sempre più viene considerato strategico per una crescita sostenibile e green delle nostre città.
Dalla qualità dei nostri edifici – per abitazioni, uffici, centri commerciali, aziende, ecc. – dipende anche la qualità della nostra vita, questo è un concetto che oggi è con prepotenza entrato nel nostro comune sentire.

E non stiamo parlando di bruscolini: il real estate è un settore che in Italia vale più o meno il 20% del PIL, che genera – purtroppo – il 39% delle emissioni e consuma il 40% dell’energia. Non c’è dubbio che tutto l’ecosistema del costruito/ costruisco/utilizzo/dismetto è senza dubbio molto inquinante.
Ne parliamo con Barbara Cominelli, CEO di JLL Italia, da sempre sensibile alle trasformazioni che possono essere ottenute con la tecnologia ma soprattutto con la sostenibilità, sia ambientale sia legata alla creazione di capitale.

Dottoressa Cominelli, che cosa si può, anzi si deve fare per rendere meno “impattanti” i nostri palazzi?
«Possiamo cominciare con il dire che se guardiamo lo stock immobiliare europeo, scopriamo che più o meno il 75% degli edifici complessivi – in Italia va un po’ peggio, siamo all’84% – ha una classificazione energetica di grado molto basso, inferiore a D.
I Paesi in condizioni migliori sono quelli dell’Est europeo, che in conseguenza dei cambiamenti vissuti negli ultimi decenni godono di uno stock più nuovo. Ma non dobbiamo pensare che valga sempre l’equazione nuovo-sostenibile, perché utilizzare nuovo territorio non è di certo la soluzione migliore. L’obiettivo deve piuttosto essere quello di fare un passo deciso verso una riqualificazione green del nostro patrimonio immobiliare. In questa direzione va proprio l’European Green Deal, che ha tra gli obiettivi l’abbattimento delle emissioni degli immobili del 60%.

Il cambiamento dovrà riguardare i nuclei abitativi nel loro complesso, in particolar modo le città…
«Questo è un tema centrale. È fondamentale reimpostare la struttura delle città, approfittando anche del momento in cui si potrà finalmente parlare di post-covid.

C’è, oggi, una grande accelerazione sul ripensamento delle città, che porterà ad avere centri abitati molto più policentrici, in cui non ci sarà, come oggi, un solo “centro” dove tutti la mattina si recano per lavorare per poi tornare verso l’esterno per vivere e dormire. Si pensa a città con tanti poli, in cui tutto sia a portata di mano, a misura d’uomo e raggiungibile in poco tempo – il cosiddetto modello di “città dei 15 minuti” – in un’ottica di mobilità un po’ più sostenibile e di creazione di ecosistemi di innovazione e di inclusione».

La parola d’ordine sembra essere “rigenerazione”. È davvero così?
«È assolutamente un tema di grande valore, che ti permette di ottenere buoni risultati economici, se sei un investitore o sei un’azienda che vuole inserirsi in un progetto di rigenerazione urbana, associati a ottimi risultati di inclusione sociale, perché aree che dal punto di vista sociale erano lasciate ai margini con questo nuovo modello di città si trovano a essere incluse.

Ogni euro investito in rigenerazione ha un moltiplicatore molto importante in termini di ricaduta sul territorio, visto che ne “produce” tre. Il tema della rigenerazione a 360° riguarda anche l’obiettivo di far diventare la città più inclusiva, accessibile a tutti, anche agli studenti alle nuove coppie, a chi non ha grandi disponibilità. Per questo si parla di social housing: concetto virtuoso che per essere raggiunto richiede molto lavoro e attenzione alle esigenze di tutti.

C’è tutto il tema dello student housing, ma anche quello del senior housing, sempre più pressante visto l’invecchiamento progressivo della popolazione, in particolare quella del nostro Paese».

Quanto e come influirà sul sistema del real estate l’avvento del Covid con tutto il suo corredo di smart-working e aumento degli acquisti da remoto?
«Il Covid ha accelerato un ripensamento collettivo che era già in atto per ripensare come viviamo, lavoriamo, studiamo, passiamo il nostro tempo libero all’interno delle nostre realtà cittadine.
Lo smart-work favorisce questa visione della città a 15 minuti, perché se a pochi minuti da casa mia ho tutti i servizi essenziali di cui ho bisogno, è chiaro che il dover rimanere a lavorare in casa non è un aspetto negativo, anzi, può migliorare il mio senso di benessere generale».

Nella vostra visione si parla spesso di “città”, come se il futuro dovesse risolversi soprattutto in quei contesti…
«Le indicazioni che abbiamo parlano chiaro: già fin dal prossimo futuro le città sono destinate a crescere. Il trend è sempre più quello della urbanizzazione: attualmente si calcola che nelle città viva il 55% della popolazione mondiale, percentuale destinata a salire, entro il 2050, al 70%. Questo significa che ci saranno più di 2 miliardi di persone che dovranno trovare spazio nelle città e la nostra preoccupazione deve essere quella di renderle più accoglienti per tutti e non solo per poche élite».

Non sempre lo sviluppo dei quartieri va di pari passo con i buoni propositi iniziali. Qual è la ricetta perché tutto funzioni al meglio?
«È fondamentale che ci sia una buona alleanza pubblico/privato. Se tutto viene predisposto in modo corretto e durevole, poi le aziende arrivano, il residenziale prende possesso del quartiere e si viene a creare un circolo virtuoso che permette al nuovo quartiere – o al quartiere rigenerato – di “decollare”.
Ma gli investitori senza il supporto e la visione del “pubblico” da soli non ce la possono fare».

In Italia si verifica questa alleanza pubblico/privato?
«L’alleanza tra pubblico, privato è un aspetto fondamentale. Se sei un privato, un investitore, la cosa che ti fa più paura è l’incertezza.

Se sai di avere un interlocutore con cui dialogare – soprattutto nel settore immobiliare che richiede un pensiero di medio-lungo termine – sei molto più tranquillo. Bisogna sottolineare che nel nostro Paese le amministrazioni si stanno sempre più impegnando per creare connessioni, portare mobilità e servizi nelle parti di città interessate da rigenerazione. Spesso viene richiesto al privato di assegnare una parte dello sviluppo progettuale all’edilizia sociale, in modo che non ci sia spazio solo per uffici o per case per ricchi. Bisogna dare l’opportunità a tutti di poter vivere in ambienti organizzati e sostenibili.

Questo è anche quello che richiedono le grandi aziende, che vincolano la scelta delle proprie sedi alla presenza di talento, di capitale umano, elemento considerato tanto importante quanto quello delle infrastrutture, del regime fiscale e delle opportunità prestate dagli strumenti software.
Ed è chiaro che le città avranno un migliore futuro se sapranno crescere in termini sostenibili attirando talenti e creando vivacità, dinamismo».

Qual è l’impegno diretto e fattivo di JLL nei confronti di questa auspicata trasformazione sostenibile del comparto del Real estate?
«Siamo completamente dentro questa trasformazione, ogni giorno parliamo di questi temi e aiutiamo i nostri clienti a operare scelte finalizzate a raggiungere questo obiettivo. Per quanto ci riguarda, come azienda abbiamo firmato il “Climate Pledge” e ci siamo impegnati a essere net zero entro il 2040. Ed entro il 2030 saremo carbon neutral su tutto quello che riguarda i nostri edifici e le nostre attività. Ma la nostra grande sfida è quella di arrivare al 2040 net zero anche su tutte le attività che gestiamo per i nostri clienti, per questo operiamo senza tregua nel sensibilizzarli su questi temi».

Come avviene la vostra condivisione della sostenibilità con i vostri clienti e stakeholder?
«Abbiamo intervistato vari nostri clienti, sia lato investitori sia lato grandi aziende, e buona parte di loro ci ha rivelato che sta iniziando a sviluppare piani per cui è fondamentale il link tra corporate real estate e sostenibilità a livello di board. Nel mondo degli edifici i punti decisivi da questo punto di vista sono due: ridurre la produzione in termini di emissioni nel momento in cui costruisco il building e ridurla durante il suo utilizzo.
C’è molto fermento su tutto ciò che è collegato a questi due momenti: come costruisco, come ci vivo, quale design utilizzo, come riciclo. E quanto suolo nuovo consumo: quando si parla di “rigenerazione” la cosa peggiore sarebbe costruire nuove città andando a consumare suolo nuovo e non riutilizzando quello già occupato. Un altro tema importante è quello del riciclo, della circolarità, che è sempre più fondamentale in come progettiamo gli edifici e in come li utilizziamo. Dobbiamo arrivare, in generale, a un modello dei nostri edifici molto più inclusivo, oggi purtroppo non è sempre così».

L’inclusione, un altro punto su cui vale la pena soffermarsi…
«Sì, l’inclusione è un tema che ci sta molto a cuore. L’immobile deve essere anzitutto accessibile, non deve avere barriere architettoniche. Una scelta che non deve essere fatta solo per rispettare le disposizioni di legge. Il pensiero che si deve affermare è: “rendo accessibile a tutti uno spazio by design”. Cioè: non costruisco una scala normale e poi di fianco ci metto una rampa per chi non è in grado di utilizzare la scala, costruisco direttamente una rampa che venga utilizzata da tutti. Il punto è dunque quello di disegnare spazi che siano “nativamente” inclusivi.

Il tema dell’accessibilità è ovviamente legato alle persone disabili, agli anziani, ai genitori con bambini piccoli ma può riguardare tutti noi in qualsiasi momento della vita».

Riassumendo, dottoressa Cominelli, come sarà, anzi come dovrà essere la città del futuro per essere davvero sostenibile?
«Più che di “città del futuro”, mi piace parlare di “città rigenerate”. Saranno sicuramente locali – nel senso detto prima – ma anche fortemente integrate in circuiti di innovazione quanto più ampi possibili, direi a livello europeo. Quindi: da una parte localizzazione dei consumi, nell’utilizzo dei servizi, dall’altra una forte integrazione con gli altri hub dell’innovazione. Saranno città più smart e tecnologiche.

La tecnologia è ancor oggi piuttosto sottoutilizzata e questo è un peccato perché rappresenta il driver principale per far fare un salto anche green agli agglomerati urbani che ci ospitano. Local, smart, green e inclusiva, in futuro la città dovrà riuscire a essere così».

di Luca Palestra

(da CSRoggi Magazine, anno 6, n.4, Settembre/Ottobre 2021, pag. 8)

 

 

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