Sviluppato da Unipolis in collaborazione con Refe, OpenReportTM rappresenta un sistema di reporting che permette di raccontare e informare sulle linee di azione-ma soprattutto sui risultati attesi e su quelli raggiunti, favorendo un dialogo continuativo con gli stakeholder e le comunità servite. Perché Unipolis ha deciso di avvalersi di questo nuovo strumento? Ne abbiamo parlato con Marisa Parmigiani, Direttrice Fondazione Unipolis.
Quali sono le ragioni che hanno determinato la scelta di questa nuova forma di rendicontazione?
«OpenReportTM rappresenta uno dei passaggi di un lungo percorso di riflessione e cambiamento organizzativo avviato dalla Fondazione nel 2018 in occasione dell’attuazione del primo piano triennale.
Un percorso nato con l’intento da una parte di dotarci per la prima volta di una pianificazione strategica pluriennale, dall’altra di abbracciare una logica di impact management per cogliere l’opportunità di confrontarci sulla funzione di senso della Fondazione e di identificare il tipo di impatto che intendiamo produrre. Alla base un obiettivo ben preciso: connettere la nostra mission di crescita culturale, sociale e civica delle persone e delle comunità, sia con le azioni delle nostre imprese fondatrici, sia con gli obiettivi di sviluppo sostenibile sempre più al centro delle politiche nazionali e internazionali a seguito in particolare dell’impulso dell’Agenda 2030 dell’ONU, ragionando quindi in ottica di sistema.
Un’esperienza che ci ha portato a un più ampio rinnovamento strategico della Fondazione e all’elaborazione di nuovi strumenti di pianificazione e accountability.
In questo, centrale è stato lo sviluppo di un sistema di valutazione dei risultati della Fondazione: abbiamo capito che per essere degli agenti di cambiamento dobbiamo definire degli obiettivi raggiungibili, monitorare le nostre attività e valutarne l’impatto. Rendere conto non solo delle nostre azioni ma della loro capacità trasformativa, in un processo di miglioramento continuo.
Come afferma Carola Carazzone1 – Segretario generale di Assifero e presidente di Dafne (Donors and foundations networks in Europe) –, perché le fondazioni possano avere un ruolo importante nella creazione di valore condiviso e nella produzione di cambiamento è necessario un cambio di paradigma, occorre passare da finalità meramente erogative a finalità di co-creazione di impatto collettivo, adottando una visione di sistema.
Occorre costruire impianti che consentano un disegno comune di obiettivi, una valutazione dei risultati e perché no, una ridefinizione di strategie e metodi qualora fosse necessario per raggiungere gli effetti desiderati, affrontando il mancato raggiungimento dei risultati attraverso un discorso bidirezionale e di scambio. La rendicontazione diventa in questo modo uno strumento per scardinare il sistema, per ragionare prima di tutto ex ante e non più solo in chiave comunicativa di quanto prodotto ex post».
1 («Due miti da sfatare per evitare l’agonia del Terzo settore.» – 2018, March 26. Vita.)
Quali sono gli obiettivi prioritari che vi siete posti?
«Con la volontà di provare a essere promotori di questo cambio di paradigma, abbiamo deciso di adottare un approccio di valutazione dei risultati personalizzato, per rispondere alla dinamicità e flessibilità proprie delle nostre attività.
Abbiamo dapprima lavorato sugli obiettivi, per poi definire la nostra mappa dell’impatto: a partire dalla definizione dei risultati, che ci proponiamo di raggiungere in termini di cambiamento generato, abbiamo identificato gli outcome e gli output, stabilendone specifici KPI di misurazione, e infine le azioni attraverso le quali riusciamo a realizzare gli impatti attesi. Queste azioni risultano essere le parole chiave dell’agire della Fondazione, svolto attraverso programmi e progetti propri, partnership e collaborazioni, iniziative sostenute e supportate, su cui concentrare in modo efficace le nostre risorse. All’interno del processo, volevamo dotarci di uno strumento che ci permettesse di mantenere un punto di attenzione costante sul tema e il dialogo con i nostri stakeholder attivo e continuo, di rendere oggettiva e trasparente la relazione con beneficiari e partner, spesso realtà del Terzo Settore con caratteristiche e ambiti di intervento molto diversi tra loro, ma tutti impegnati a contribuire alla generazione di valore culturale, sociale e civico».
Com’è nata e si è sviluppata la vostra collaborazione con Refe?
«Abbiamo trovato in OpenReportTM e nel metodo proposto da Refe queste caratteristiche e ci siamo messi subito al lavoro, a quattro mani. Assieme al team di Cristiana Rogate abbiamo realizzato un portale di rendicontazione digitale, integrato al sito istituzionale, per dare evidenza e condividere in itinere il valore generato attraverso le attività svolte e i progetti promossi. Per farlo, come prima cosa è stata avviata una riflessione interna sui nostri obiettivi, sulle modalità di lavoro e sui risultati che volevamo e vogliamo raggiungere. Il processo non è stato sempre lineare. Abbiamo scardinato convinzioni e modalità di lavoro sedimentate, procurandoci infiniti mal di testa, ripagati poi dall’esserci ritrovati più coerenti e allineati di prima.
Infine, grazie al lavoro e alle sollecitazioni di Refe, abbiamo lavorato sulla modalità di raccolta dati che alimenta il sistema di rendicontazione online sviluppato attraverso un’area riservata dedicata ai beneficiari della Fondazione».
Fondamentale per il processo messo in atto è stato il coinvolgimento degli stakeholder. Come è avvenuto questo passo?
«Come Fondazione che agisce tramite attività proprie ma soprattutto in partnership con altri attori, consideriamo da sempre il dialogo con gli stakeholder strategico. Con questo cambio di approccio rivolto alla valutazione dei risultati, il loro coinvolgimento è diventato ancor più fondamentale e significativo.
Ci siamo detti “non possiamo misurarci da soli”: il valore creato da Unipolis dipende infatti dalla capacità di azione di tutti i soggetti coinvolti, dai beneficiari ai partner e al pubblico destinatario, con i quali generiamo valore condiviso sulle comunità con cui operiamo.
La relazione con gli stakeholder è stata imprescindibile per l’identificazione degli impatti e anche per ragionare con loro rispetto alla capacità trasformativa dell’intera organizzazione: con il percorso avviato abbiamo messo in discussione il senso dell’agire della Fondazione, la sua capacità di avere un reale effetto in termini di cambiamento sulle persone e comunità di riferimento e non potevamo farlo se non con un confronto aperto con tutti coloro che sono direttamente o indirettamente toccati dalle nostre attività. Definizione di obiettivi comuni, co-progettazione di indicatori, co-costruzione di metriche: queste alcune azioni nelle quali abbiamo coinvolto i nostri stakeholder per aumentare il senso di appartenenza e identità e per favorire la co-costruzione di strumenti e metodi in modo non autoreferenziale ma intercettando bisogni e aspettative dai diversi interlocutori, sempre in coerenza con la missione di Unipolis.
Una particolare centralità è stata data ai beneficiari di Unipolis (112 organizzazioni in totale dal 2018, 34 nel 2020), in qualità di attori chiave per la realizzazione dei nostri obiettivi, con i quali abbiamo realizzato momenti di confronto e scambio di idee lungo tutto il percorso, per coinvolgerli nell’intero ripensamento strategico. E alla comunità esterna, verso cui desideriamo rendicontare quanto realizziamo».
Da questo punto di vista Open-Report ha saputo assolvere al suo compito?
«OperReport è stato lo strumento ideale per rispondere a queste nostre esigenze. Non è solo la pagina di un sito ma un nuovo modo di lavorare, di confrontarsi con gli altri. Nell’operatività di ogni giorno era necessario trovare un sistema per la raccolta dei dati che fosse immediato e facilitasse lo scambio di informazioni. Abbiamo quindi messo a punto un’area riservata ai beneficiari costruita anche grazie al contributo e al coinvolgimento attivo di un gruppo selezionato e rappresentativo di beneficiari e partner. Nell’area sono presenti una serie di moduli, attraverso i quali è possibile dare il via alla collaborazione con la Fondazione.
Si dichiarano obiettivi, azioni, piano di lavoro e risultati. Una volta messa a punto, abbiamo organizzato un workshop per informare su questo cambio di passo tutti i beneficiari della Fondazione. Come dicevamo, scardinare non è un processo lineare: spesso ci capita ancora di trovarci davanti progettisti spiazzati dal fatto di non dover rendicontare le spese effettuate ma piuttosto di dover mettere a punto dei sistemi di rilevazione di quanto generato attraverso le proprie azioni. Nell’operatività di tutti i giorni non è sempre facile mantenere vive le connessioni con i vari stakeholder, in particolare nel mettere in pratica il sistema di rilevazione, ci siamo resi conto di quanto il cambio sia molto di tipo culturale, ma proprio per questo la modalità con cui li abbiamo coinvolti sin dall’inizio ha avuto l’effetto positivo di aumentare la loro consapevolezza e conoscenza, anche in termini di sensibilizzazione e formazione, sulle motivazioni del percorso e ciò sta facilitando il loro ingaggio perché si sentono parte del processo».
“Il Dilemma dell’Impatto” è il titolo dell’incontro con cui avete presentato OpenReport. Si può parlare di una qualità migliore e di una misurazione d’impatto finalmente chiara attraverso questo lavoro?
«Sì e no. Da una parte sì, il lavoro ci ha aiutato a migliorare la nostra valutazione di impatto, consolidandoci come organizzazione a livello di gestione e pianificazione. Abbiamo toccato con mano come il valore della misurazione stia nel processo stesso che innesca, per il quale diventa uno strumento strategico di: creazione di senso delle proprie azioni, analisi e messa in discussione dei risultati raggiunti, coinvolgimento continuo dei beneficiari e dei territori coinvolti, narrazione degli effetti prodotti e visione sulle scelte future.
Seguendo quanto sostenuto da Mario Calderini, Professore ordinario di Social Innovation School of Management, Politecnico di Milano, che ha aperto l’incontro al fine di implementare un approccio trasformativo della sostenibilità realmente a favore del benessere delle comunità e delle persone, abbiamo messo al centro l’intenzionalità di generare un impatto, spostandoci da un mero approccio puramente rendicontativo dei risultati ex post a una logica di gestione continuativa degli effetti prodotti con la definizione di obiettivi di cambiamento sociale ex ante. Dall’altra, non possiamo ritenere questo lavoro finito. Riteniamo la valutazione di impatto un modo di ragionare che comporta un processo inesauribile. Siamo arrivati ad alcuni primi step ma il percorso continuerà ad evolvere con la vita della Fondazione e continueremo a metterlo in discussione proprio per renderlo efficace nel tempo».
Come e quanto la dinamicità di Open Report interagisce con il Bilancio di impatto annuale?
«Quattro anni fa stavamo appunto sviluppando il piano triennale, quando al momento di occuparci del bilancio di missione ci siamo resi conto di non riconoscerci più nella modalità di redazione applicata fino a quel momento. Ancora prima dell’avvio del piano, abbiamo cambiato il format del documento di rendicontazione annuale provando a cambiare prospettiva: siamo passati dal racconto dettagliato di quanto realizzato alla narrazione di obiettivi e risultati.
Questo primo esercizio ci è stato molto utile per lavorare poi sull’implementazione di Open-Report sul nostro sito web. Ad oggi “Unipolis in numeri”, questo il nome dato al nostro Bilancio di impatto annuale, è uno strumento che dialoga con OpenReport, che ne sposa l’impostazione ma con una funzione diversa: traccia una linea rispetto all’anno precedente, ci permette di fermarci a osservare quello che abbiamo realizzato, un punto da cui ripartire per migliorarci e progettare il futuro».
a cura di Bruno Calchera
(da CSRoggi Magazine, anno 6, n.4, Settembre/Ottobre 2021, pag. 18)