Il 70% delle grandi aziende mondiali si impegna a raggiungere lo zero netto, ma i progressi sono trascurabili se si considera che gli impegni aziendali non sono sempre allineati alla scienza e la maggior parte sono strategie a breve termine.
Il rischio climatico è sicuramente uno dei principali che ci troviamo e ci troveremo ad affrontare, sia come sistema produttivo sia, più semplicemente, come comunità. Da alcuni anni infatti domina anche il Global Risk Report del World Economic Forum e, nel 2013, il fallimento della mitigazione del cambiamento climatico e delle misure di adattamento è la maggiore preoccupazione a lungo termine.
Il sistema finanziario, comprendendone la valenza sistemica, si sta ponendo, in prima persona, come promotore di un impegno globale al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi (ossia l’incremento pari a un massimo di 1,5°C al 2050).
L’organizzazione sovranazionale UNEP, emanazione delle Nazioni Unite sui temi ambientali, ha sviluppato partnership mirate con gli operatori del mercato che li accompagnassero in questo processo di transizione: la Net-Zero Asset Owner Alliance, tra le prime nate, riunisce oltre 70 investitori da tutto il mondo verificandone metodologia e obiettivi d’impegno.
La finanza spinge le aziende ad adottare strategie climatiche
Anche Unipol Gruppo ha aderito alla NZAOA con la convinzione che fosse opportuno verificare e accreditare gli obiettivi di riduzione delle emissioni che aveva adottato per testimoniare la serietà del proprio operato e allontanare ogni rischio di greenwashing. Infatti, proprio perché il tema è così attuale, il rischio di eccedere nell’enfasi della comunicazione è concreto, ragion per cui è fondamentale adottare un approccio scientifico.
Alla NZAOA si sono inoltre affiancate la NZAMA, fondata nel2020 con oltre 315 asset managers associati, la NZIA, ancora in fase di sviluppo con 11 assicurazioni aderenti e la NZBA a cui aderiscono oltre 130 banche. Un sistema complesso di partnership in cui si sviluppano modelli e metodologie in grado di rendere efficaci e sostenibili gli impegni di mitigazione, che vengono gradualmente assunti e annualmente revisionati.
Il Gruppo Unipol ha scelto di adottare per il proprio portafoglio d’investimenti tre obiettivi: la riduzione del 50% dell’intensità di carbonio (tCO2(e)/ EVIC) dei propri portafogli di listed equities e publicly traded corporate bonds gestiti direttamente; l’attività di engagement con le 20 società che generano le maggiori emissioni di Scope 1 e 2 e il raggiungimento di 1,3 miliardi di euro investiti in green finance. Naturalmente l’impegno della finanza a ridurre le emissioni del proprio portafoglio supporta il processo, già in essere nel mercato, di portare le imprese ad adottare strategie climatiche, con particolare coinvolgimento di coloro che operano nei settori cli- malteranti.
Le aziende sono più impegnate che mai sul tema del clima e il loro impegno verso il Net Zero è in aumento, come afferma il 12° Corporate Climate Reporting di EcoAct, che analizza le attività delle più grandi società quotate al mondo per affrontare le sfide della sostenibilità legate al clima e rivelarne i progressi. Lo studio confronta i progressi delle 20 maggiori società per capitalizzazione di mercato in FTSE MIB, CAC, DAX, DOW, IBEX e FTSE.
Queste aziende coprono 27 diversi settori e sono state valutate in quattro categorie tematiche: misurazione e rendicontazione delle emissioni; Ambizione e obiettivi di riduzione delle emissioni; Strategia, governance e piano d’azione; e risultati. A causa della mancanza di driver legislativi, le aziende italiane non mostrano lo stesso livello di impegno per il clima rispetto alle loro pari in Europa, Regno Unito e Stati Uniti. Solo il 50%
delle più grandi società del FTSE MIB si è impegnato a raggiungere lo zero netto, che è il punteggio più basso tra tutti e 6 gli indici. Sebbene il 35% delle società del FTSE MIB abbia un piano di transizione allineato a 1,5°C, superando quelle del CAC e del DAX (30%) e alla pari con le loro pari nel DOW, restano indietro rispetto all’IBEX (45%) e il FTSE (55%).
Il rapporto ha rilevato che il mondo sta dimostrando ambizione e impegno nel comunicare e ridurre le emissioni, ma non riesce a fornire le effettive riduzioni delle emissioni necessarie per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C. Il 70% delle grandi aziende si impegna a raggiungere lo zero netto, ma i progressi sono trascurabili se si considera che gli impegni aziendali non sono sempre allineati alla scienza e la maggior parte sono strategie a breve termine.
Un vantaggio competitivo dall’azione sulla sostenibilità
Inoltre la maggior parte delle aziende italiane ancora non calcola e rendiconta le emissioni di scope3, ossia quelle indirette, che sono fondamentali per attivare processi di cambiamento nel mercato, scalando l’impegno dell’impresa singola nella dimensione di filiera. Soprattutto per le imprese manifatturiere che esternalizzano sulla catena del valore le attività più climalteranti, piuttosto che appunto nel caso degli attori finanziari, come Unipol, che sono abilitatori delle attività di terze, intervenire sullo scope3 è fondamentale per avere impatto significativo sul modello di sviluppo.
Per le imprese produttive lo standard di riferimento per attuare percorsi credibili è appunto il Science Based Target Initiative che accompagna le imprese a definire target di riduzione basati sulla scienza in uno scenario del +1,5°C. Sebbene le aziende siano migliorate nella definizione degli obiettivi, lo standard scientifico elevato stabilito dall’SBTi si è rivelato però difficile da raggiungere. Poco più di un terzo (35%) delle grandi aziende ha un obiettivo basato sulla scienza (SBT) convalidato per le emissioni di Scope 1 e 2 e solo l’8% ne ha uno per le emissioni di Scope 3.
Gli ultimi anni dello studio confermano il vasto potenziale che le grandi aziende hanno per muovere l’ago sulla riduzione delle emissioni di carbonio, dimostrando anche la possibilità di ottenere un vantaggio competitivo attraverso l’azione sulla sostenibilità. Infatti nel settore finanziario l’attenzione ad avere relazioni con imprese dotate di una strategia climatica a medio termine non è solo per le attività di investimento ma, ancor più, per le attività di credito a fronte delle normative vigenti sempre più stringenti al riguardo che spingono il sistema creditizio verso la green economy. Alta è l’attenzione sulla serietà e credibilità degli impegni, come dimostra anche la recente azione giudiziaria promossa da Greenpeace nei confronti di Eni, per questo è importante che le imprese coinvolgano i loro organi apicali affinché assumano decisioni consapevoli, che considerino tutti gli impatti di business soprattutto nel breve periodo per far sì che la transizione venga adeguatamente pianificata e gestita.
di Marisa Parmigiani,
Head of sustainability and stakeholder management
Unipol Group
(da CSRoggi Magazine – Anno 8 – n.4 – Settembre/Ottobre 2023; pag. 6)