Pubblichiamo in anteprima una sintesi dell’intervista di Giovanni Minoli a Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet. L’intervista integrale andrà in onda, lunedì 10 febbraio, su National Geographic, canale 403 di Sky alle 20,40.
Marco Boglione, torinese, 63 anni. Cavaliere del Lavoro, nel ‘94 fonda la BasicNet, di cui oggi è presidente. La società controlla, tra gli altri marchi, Kappa, Robe di Kappa, K-Way, Superga e Sebago. Un’azienda non come le altre, ma un network d’imprenditori con un fatturato 2018 di 210 milioni di euro. Per lui fare l’imprenditore è il lavoro più etico che ci sia.
In che senso fare l’imprenditore è un lavoro etico?
«Se vediamo l’etica in quanto contributo al bene comune, e il bene comune in quanto conseguenza della ridistribuzione della ricchezza prodotta dagli imprenditori. In questo senso è etico».
Ma imprenditori si nasce o si diventa? «Si nasce».
BasicNet è un network di imprenditori. Cioè l’imprenditore non è lei, bensì la rete?
«BasicNet è un cosiddetto marketplace, quindi un’azienda fatta di tanti imprenditori. Io sono uno di quegli imprenditori e per fare le singole cose che l’azienda deve fare, non mi avvalgo di strutture di miei manager, bensì di tanti altri imprenditori in giro per il mondo».
Ma questo network è ecosostenibile? È un problema che vi siete posti?
«Sì, è un problema che ci siamo posti ed è ecosostenibile sostanzialmente perché oggi il mercato vuole l’eco-sostenibilità. Noi siamo un gruppo d’imprenditori che fa di tutto per essere competitivi sul mercato e di conseguenza dobbiamo essere sostenibili altrimenti il mercato non compra i nostri prodotti».
Per voi economia circolare cosa significa?
«Tante cose: riciclare la lana, adattare i vecchi vestiti ai nuovi K-Way, ma forse l’economia circolare più in grande è quella degli Stati, dei continenti e forse anche del mondo: cioè produrre ricchezza, pagare le tasse, investire queste tasse in welfare e in opportunità di produzione di nuova ricchezza. Questa è la circolarità».
Nel vostro quartier generale a Torino non producete e non distribuite, cosa fate?
«Siamo i titolari del marchio, creiamo 8mila articoli nuovi all’anno, li industrializziamo, gli facciamo la pubblicità. Dopodiché vendiamo a tutti quegli imprenditori, di cui si parlava prima, l’opportunità di produrre o di vendere quei prodotti».
Ma le aziende che producono per voi devono rispondere a criteri di sostenibilità oppure no?
«Assolutamente sì. C’è un processo che dura un anno e mezzo per decidere se un’azienda entra o non entra nel network. In questo processo si fanno tutti quegli accertamenti: si va nell’azienda, si ispeziona e si verificano le singole attività».
Com’è arrivato a questo tipo di organizzazione aziendale abbastanza particolare?
«Direi grazie alle condizioni in cui sono cresciuto. Io sono un ragazzo del 1956, quindi sono stato affascinato dall’annuncio della Apple di aver creato il primo computer. Da lì ho cercato di giocare e applicare».
Che cosa sono «le tre P» di Marco Boglione imprenditore?
«Sono la passione, perché senza la passione non si combina niente, la pazienza e la persuasione, cioè saper convincere gli altri a seguirti».
Secondo lei sviluppo sostenibile è un’affermazione su cui bisogna mettere l’accento sulla parola sviluppo o sulla parola sostenibile?
«Sviluppo: mettere l’accento su questa parola significa saper fare quelle cose e portarle al mercato in modo che soddisfino il bisogno del consumatore, in tutto e per tutto».
Come sceglie i marchi da rilanciare?
«Come si suol dire “by opportunity”, sull’opportunità».
Ma è vero che la Superga è una scarpa completamente green?
«Sì, è vero, 100% biodegradabile. È stata fatta in un periodo in cui non esisteva la plastica, nel 1926. E quindi è stata fatta con i materiali di allora che per definizione erano tutti biodegradabili. E noi ci siamo ben guardati dal cambiarla».
Perché usa la parola «basic» per tutto?
«Mi piace molto perché “basic” vuol dire semplice. Poi c’è anche un motivo da nerd, informatico: basic è il nome del linguaggio di programmazione più diffuso al mondo».
È vero che fa anche la passata di pomodoro, la BasicTomato?
«Perbacco, sì. La coltiviamo noi sul tetto di casa nostra, del BasicVillage e ne produciamo più di una tonnellata all’anno».
Quindi c’è un orto sul tetto?
«Ce ne sono 3 e li coltiva mia moglie. Abbiamo anche le galline dentro la fabbrica, sopra al tetto»
Ma secondo lei la salvaguàrdia dell’ambiente spetta di più ai singoli individui, alle imprese o allo Stato?
«Spetta di più ai singoli individui e allo Stato perché le imprese per definizione fanno quello che vogliono i singoli individui, che sono i loro clienti, e lo Stato, che gli dice come bisogna fare le cose».
Ma è vero che ha deciso anche di dedicarsi al turismo sostenibile?
«Sto cercando di costruire la second life di Marco Boglione e quindi sto lavorando su un nuovo progetto. La second life è l’agricoltura, la produzione industriale ma agricola. Non faccio più magliette e siccome avrò delle aziende agricole spero belle, interessanti e sostenibili farò anche dell’attività turistica, la cosiddetta agroturistica».
Lei dice che le persone possono invecchiare mentre le aziende non devono mai invecchiare. Devono restare giovani. Come fanno a non invecchiare?
«Sì, dovrebbero rimanere giovani perché possono rimanere giovani. Le persone vorrebbero rimanere giovani ma non possono, le aziende invece sì».
E quindi lascia tutto ai suoi figli.
«Sì, ai miei figli lascio l’onere e l’onore di essere gli azionisti di riferimento del gruppo ma ai miei figli e a tanti altri ragazzi lascio l’onore e l’onere di condurlo, di guidarlo e di farne da comandanti e da equipaggio».
Ho letto che lei voleva fare il presidente degli Stati Uniti, però non era americano. Poi il pilota di Formula 1. Pensa che le è andata meglio con BasicNet?
«Sì, sostanzialmente sì perché volevo fare anche il Papa da piccolo, poi il presidente degli Stati Uniti, poi il pilota di Formula 1. Ma a 14-15 anni ho cominciato a pensare di fare l’imprenditore. Mi è andata benissimo, perché non può andare meglio ad un ragazzo che ritrovarsi a 60 anni a fare quello che sognava di fare quando ne aveva 15».
di Giovanni Minoli
(da L’Economia del Corriere della Sera del 10 febbraio 2020)