Il welfare aziendale cambia passo e si caratterizza per una maggiore attenzione da parte delle piccole e medie imprese che, arrivate seconde rispetto alle grandi aziende, sembrano aver messo a frutto la loro esperienza. Oggi il welfare si fa meglio e lo si comunica meglio ai collaboratori, anche grazie al contributo dei fornitori dei servizi e allo sviluppo di accordi fra reti di aziende.

Ciò non riguarda solo le imprese più grandi, che restano avvantaggiate, ma anche quelle di piccola e media dimensione. In questi tre anni infatti la quota delle «molto attive» (che investono cioè su 8-12 aree di servizi, dalla previdenza e sanità integrativa alle assicurazioni, dai servizi di assistenza alla formazione, dalia cultura al tempo libero e alle iniziative per la comunità) è più che raddoppiata.

Nelle microimprese (meno di io addetti): dal 6,8% nel 2017 all’attuale 12,2%; nelle piccole imprese (10-50 addetti) dall’u96 nel 2016 al 24,896 di oggi; nelle medie imprese (51-250 addetti) dal 20,8% nel 2016 al 45,3% di oggi, con un aumento particolarmente sostenuto nell’ultimo anno.

Lo dice il Welfare Index Pmi 2019, quarta edizione dell’indagine promossa da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni, sul livello di welfare nelle imprese italiane (4.561 aziende coinvolte). In tre anni è raddoppiato anche il numero delle società che realizzano iniziative in almeno quattro aree di welfare: dalla previdenza e sanità integrativa alle assicurazioni, dai servizi di assistenza alla formazione, dalla cultura al tempo libero e alle iniziative per la comunità. Triplicano poi quelle talmente convinte da investire in sei aree: si sale dal 7,2% del 2016 al 19,6% del 2019 (con un +36% rispetto al 2018). I contratti che contemplano misure di welfare sono cresciuti dal 18% al 27% del totale.

Il progetto

Oggi le parole d’ordine sono «ascolto», «qualità» e «monitoraggio». Manager e imprenditori hanno compreso che non si tratta solo di offrire benefit, ma anche di gestire un progetto aziendale. Che bisogna programmare per fasi e i cui risultati si estendono oltre il perimetro dell’impresa, con impatto sul territorio e sul contesto economico e sociale.

Le imprese «molto attive», dice l’indagine, sono 130 mila, distribuite nei diversi settori produttivi; il 71,7% di loro intende sviluppare ancora di più le iniziative. Per il 63,4% delle Pmi, infatti, benessere sociale e risultati di business crescono di pari passo. Ingrediente del successo è anche il fatto che rispetto agli anni precedenti il 71,2% delle aziende interpellate ha ben definito obiettivi e politiche, coinvolgendo sistematicamente i lavoratori ; inoltre il 63,4% ha investito di più sugli obiettivi sociali. Secondo il rapporto Index Pmi sono tre gli ambiti in cui il welfare aziendale può dare un contributo al sistema di welfare italiano: la salute e l’assistenza (il 45,7% delle Pmi interviene infatti su questa area); la conciliazione fra vita personale e lavorativa (sostenuta dal 59,2%la formazione e il sostegno alla mobilità sociale (erogate dal 43,9%).

I casi

Le aziende Welfare Champion secondo l’indagine quest’anno sono state 68, il triplo del 2017. C’è, per esempio, B+B International, software house che ha sviluppato il progetto «Fiocchi in B+B», di conciliazione vita-lavoro: dalla gestione della burocrazia per attivare la maternità alle pratiche per i vari bonus di legge (maternità, asilo nido) fino a una maggiore flessibilità. Altro caso interessante è Mazzucchelli, che produce acetato di cellulosa e ha finanziato un Poliambulatorio con servizio infermieristico e specialistico: servizi gratuiti per cardiologia, ginecologia, medicina generale, odontoiatria e oculistica.

Nella categoria commercio e servizi prima si è classificata Illumia: la società per la fornitura di energia e gas, da sempre attenta alla crescita e sviluppo dei suoi collaboratori, negli ultimi anni ha lavorato per creare spazi dedicati ai dipendenti e alla loro formazione, come l’Illumia Academy, ma anche al relax, come l’Illumia Garden. A cui si aggiungono servizi integrativi come la spesa e la lavanderia a domicilio, ma anche un «credito welfare» che può essere usato da tutti i dipendenti per spese sanitarie, scolastiche e per altre voci di welfare.

di Luisa Adani

(da  “L’Economia del Corriere della Sera” del 24 giugno 2019)

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