Quando si parla di trasporto ferroviario passeggeri in Lombardia, il pensiero corre subito a Trenord. Abbiamo incontrato l’Amministratore Delegato Marco Piuri, alla guida della società da settembre 2018, dopo una pluriennale esperienza nel mercato della mobilità a livello europeo.
Dottor Piuri, che cosa significa, dal punto di vista organizzativo e pratico, trasportare 214 milioni di persone ogni anno, percorrendo 42 milioni di chilometri che collegano oltre 420 stazioni?
«La Lombardia ha il doppio degli abitanti delle altre regioni popolose d’Italia e noi di Trenord gestiamo il 30% del trasporto regionale italiano su ferro. Per arrivare al numero di treni che muoviamo noi bisogna mettere insieme regioni del calibro di Veneto, Piemonte e Lazio. Questo è un primo dato che fa capire l’enorme domanda cui dobbiamo rispondere e lo sforzo in termini di offerta e di possibile risposta che mettiamo in campo tutti i giorni. L’altra cosa da tener presente, e che non sempre si riesce a spiegare ai cittadini, è che la ferrovia è un sistema che a sua volta è posto dentro un altro sistema più vasto, quello della mobilità. Questo comporta che la qualità del servizio ferroviario sia determinata in parte dal vettore ferroviario – per quanto riguarda la qualità dei treni e la capacità di gestire il trasporto e di fare la manutenzione – ma soprattutto lo sia in arte maggiore dal sistema infrastrutturale.
Quanto è importante, per voi, fare questa distinzione?
«Quando, in caso di ritardo dei treni, i viaggiatori si lamentano e dicono “mettete un treno in più”, “mettete due carrozze in più” non sanno che molto spesso il problema nasce dal sistema, non da chi ne gestisce solo la parte “finale”. Perché sui binari, in un certo orizzonte temporale, non può passare più di un certo numero di treni. Il sistema ferroviario lombardo ha vincoli molto forti, di cui bisogna tenere conto. Anzitutto le sue due stazioni principali di Milano, Centrale e Cadorna, sono “di testa”, quindi i treni entrano e devono uscire. Non sono passanti come ad esempio a Bologna, e questo per un sistema ferroviario è una complicazione enorme. Poi in Lombardia accanto al trasporto regionale c’è una marea di alta velocità, di servizi internazionali, di servizi merci che ovviamente occupano i binari e rendono tutto più difficile da gestire: se la rete ferroviaria italiana decide di far passare prima l’alta velocità e per questo tiene fermo un treno regionale, io gestore non posso decidere in autonomia se muovermi o meno. Infine bisogna tenere conto che più del 50% dell’infrastruttura ferroviaria lombarda è a binario unico. Per tutto questo possiamo dire che la qualità del sistema dipende da noi per meno del 50%. Noi possiamo, anzi dobbiamo, influire sul “disegno” del servizio, ma le modalità di circolazione le decide l’infrastruttura ferroviaria».
Tra i vostri obiettivi c’è quello che “sempre più gente, per i propri spostamenti, utilizzi il treno”?
«Secondo noi non è questo il problema, non vogliamo che sempre più gente usi il treno. Può sembrare paradossale, ma se crediamo in concetti come quello della sostenibilità, e noi ci crediamo molto, dobbiamo concludere che l’utilizzo del treno debba essere fatto solo quando serve l’effettivo utilizzo del treno. Mi spiego: la richiesta di mobilità deve trovare risposte differenti perché un conto è se una persona ha l’esigenza di spostarsi da Mantova a Milano – città tra cui c’è una certa distanza – e un conto è se deve muoversi in un raggio ristretto, diciamo inferiore ai 10 Km. Cito questa distanza perché abbiamo calcolato che in Lombardia il 75% degli spostamenti fatti riguardano un raggio non superiore ai 10 km. Noi pensiamo che gran parte di questi spostamenti “brevi” non dovrebbero essere fatti con il treno, che è un bestione che occupa grande spazio e che serve per portare mille persone, non 50. Per migliorare la circolazione regionale non serve dunque mettere in circolo nuovi treni, come spesso ci viene chiesto. E non è un problema economico, questo, è proprio il dire che a una domanda di mobilità fatta in maniera diversa bisogna rispondere con soluzioni differenti, utilizzando il sistema più adatto a ogni esigenza, per cui magari è meglio fare meno fermate così il treno da Mantova a Milano è più veloce e capire come si può organizzare in modo efficiente la mobilità di tutto il territorio che c’è attorno. Questo è il tema che si fa fatica a far capire perché si semplifica dicendo più ferro c’è, meglio è: no, la filosofia di base deve essere: il ferro dove serve e nel modo in cui serve».
Chi è il vostro “passeggero tipo”? L’impressione è che sia soprattutto un pendolare che si sposta tutti i giorni per ragioni di lavoro. È davvero così?
«Può sembrare strano, ma il 50% dei nostri passeggeri non è costituito da pendolari. Non sono le persone che si spostano regolarmente cinque giorni la settimana, per ragioni di lavoro, ma viaggiatori di altro tipo, occasionali, che si muovono magari per affari ma anche per il tempo libero o per motivi familiari… Una situazione acuita dall’avvento del COVID-19, che dal punto di vista dei trasporti ha portato a una riduzione della mobilità sistematica e a un aumento dell’altra. Ma io credo che quando tutto tornerà normale ci sarà un ritorno alle vecchie abitudini anche se con qualche cambiamento. A quel punto sarà interessante capire quale dovrà essere l’equilibrio da raggiungere tra sistemi di trasporto collettivi e individuali».
Nel vostro bilancio sociale, attraverso i risultati dell’analisi “True Value” parlate di 1,6 miliardi di euro restituiti al territorio sotto forma di esternalità sociali, economiche e ambientali. Ci può spiegare di cosa si tratta?
«Pensiamo si debba cercare di superare l’idea per cui il bilancio sociale sia una mera rendicontazione di fine anno. È un’altra cosa, che presuppone che ci sia un piano, degli obiettivi misurabili e che la componente della sostenibilità sia sempre più strutturalmente parte della rappresentazione e della misurazione di un’attività. In base a questo modo di pensare abbiamo deciso di adottare “True Value” che è una metodologia di KPMG che traduce in euro – che è un’unità di misura comprensibile a tutti – qual è il valore che viene generato da un’azienda come la nostra. Il miliardo e sei è, appunto, la traduzione in euro del valore che Trenord genera per la comunità. Se questo numero lo raffrontiamo al fatto che noi nel 2019 abbiamo generato un fatturato di 800 milioni di euro, possiamo dimostrare una volta di più che il bilancio civilistico legge la realtà solo parzialmente. Il miliardo e sei di cui parliamo la legge invece tutta e ci rivela che se da una parte noi riceviamo dalla Regione circa 470 milioni di euro all’anno come corrispettivo per far funzionare il sistema di servizio pubblico, dall’altra ne restituisco una cifra tre volte superiore al territorio».
Come viene generato questo miliardo e sei a favore del territorio?
«È una cifra che valuta solo gli elementi diretti legati alla nostra attività, ma che se allarghiamo anche a quelli indiretti – cioè a quelli generati in maniera indotta – raggiunge addirittura un valore di tre miliardi. Per calcolarla prendiamo in considerazione i consumi, i prodotti, quanto si riduce la congestione, quanto generiamo di CO2, quanta ne riduciamo la produzione perché portiamo persone sul treno, qual è il valore economico generato, insomma si prendono queste voci e alla fine tra quelle dirette quelle indirette si arriva a quel valore. E tra le voci pesate c’è anche l’impatto sociale che il nostro servizio collettivo produce sulla comunità, un valore enorme. Così come l’aspetto ambientale, destinato peraltro a crescere di valore grazie al rinnovo della flotta che stiamo operando, con treni più leggeri, che consumano e inquinano meno, riciclabili, a batteria, a idrogeno… Siamo la prima azienda di trasporto in Italia ad applicare questo metodo di valutazione dell’impatto. Un esercizio per noi molto importante, che ci permette di rapportarci con gli stakeholder e dire: “Noi siamo questa roba e valiamo così e per il territorio abbiamo questo valore”, ma ci serve molto anche sul nostro fronte interno perché, appunto, non è uno strumento di mera di rendicontazione, è un prezioso mezzo attraverso cui possiamo capire il valore di quello che generiamo e capire dove dobbiamo agire perché questo valore possa incrementarsi ulteriormente».
Per quanto riguarda gli SDGS dell’ONU, abbiamo notato che prestate molta attenzione, tra quelli che sono scontati per l’attività che svolgete al numero 4, quello che vuole sia assicurata un’istruzione di qualità. Ci può spiegare questa vostra scelta?
«Una scelta che parte da questo presupposto: la nostra attività produce un forte impatto sociale sulle comunità e sul territorio e abbiamo la consapevolezza che uno dei problemi che ha il nostro Paese è il fatto di essere il più “vecchio” del mondo dopo il Giappone. Corriamo dunque il rischio dell’impoverimento delle generazioni più giovani. Per questo ci siamo detti: visto che quasi per natura abbiamo questa rilevanza sociale difendiamo, preserviamo e investiamo sui giovani, che rappresentano la possibilità che le nostre comunità possano continuare a esistere, a crescere e a svilupparsi. La nostra attenzione viene sviluppata in due direzioni. Prima di tutto con azioni di educazione alla sostenibilità e alla mobilità, così che possa essere comprensibile e interessante quello che facciamo e possano essere incentivati certi comportamenti virtuosi. E poi c’è la parte di formazione interna, legata alla nostra attività aziendale, visto che il settore lavorativo che ci riguarda richiede competenze tecniche molto forti. Per questo abbiamo deciso di lavorare anche con le scuole per fare in modo che i ragazzi non le lascino e che vengano supportati nel loro percorso di studi. Ci interessa dunque che i giovani guardino al tema della mobilità nella maniera più adeguata possibile, ma ci interessa anche avere un’interlocuzione con il mondo dell’educazione per formare le persone che ci servono in azienda. Ci interessano ragazzi dall’intelligenza sociale, aperta. Gente che sia curiosa e che abbia voglia di imparare, di essere formata».
Può aiutarci ad approfondire questa vostra collaborazione con il mondo della scuola?
«È un’attività che portiamo avanti grazie a collaborazioni con il Consorzio ELIS, che opera in ambito di formazione professionale superiore, e che si fonda sull’alternanza scuola-lavoro impostata in un certo modo, ma che parte anche dai più piccoli, con il coinvolgimento dei bambini attraverso giochi e quant’altro. Si sviluppa attraverso collaborazioni con il mondo dell’università, per cui siamo stati fra le aziende promotrici della laurea in Mobility Engineering che il Politecnico di Milano ha lanciato due anni fa. Diciamo quindi che l’intervento avviene a livelli diversi ma è fondato su un’unica idea: formare, contribuire all’educazione dei giovani. Non pensiamo al solo aspetto dell’istruzione, pensiamo a quello più vasto dell’educazione, per cui l’obiettivo e avere persone che siano consapevoli del mondo in cui vivono, che siano curiose, che abbiano voglia di “fare” le cose. Questo è il nostro impegno, che nasce dal fatto che siamo molto legati alle comunità locali, perché la ferrovia, entra nei paesi e spesso ne è un punto di riferimento irrinunciabile».
Il tema dell’innovazione tecnologica che incidenza ha sulle vostre scelte, anche sotto il profilo della sostenibilità? Come puoi descrivere la vostra spinta all’innovazione?
«Se parliamo di innovazione sui mezzi di trasporto dobbiamo prima di tutto chiarire un concetto essenziale: chi fa l’innovazione sui treni sono i produttori degli stessi treni, non siamo noi. Noi possiamo indirizzare le scelte con nostre richieste o indicazioni, per esempio sottolineando che abbiamo bisogno di treni più leggeri ma anche con motori più potenti, o con tempi migliori di accelerazione e frenata, ecc. Ovvio che la nostra capacità deve essere quella di fare richieste che possano avere una risposta tecnica praticabile, ma in ogni caso il nostro può essere un intervento esclusivamente da stimolatori. Se parliamo di innovazione tecnologica entriamo ovviamente in modo deciso nei temi che sono legati alla salvaguardia dell’ambiente. Parliamo di treni che consumano meno, che diffondono meno elementi negativi nell’ambiente, pensiamo alla decarbonizzazione progressiva, alla sostituzione dei treni diesel con treni elettrici, alimentati con la batteria o a idrogeno. Il discorso dei treni a idrogeno rappresenta bene quale possa essere il nostro intervento di vettori ferroviari a livello di progettazione di mezzi all’avanguardia. Quando Alstom – l’azienda leader in Italia nella produzione di veicoli ferroviari – ha deciso di sviluppare gli studi su questo tipo di alimentazione ci ha coinvolti direttamente, ben sapendo che come “fruitori finali” siamo in gradi di valutare la validità dell’applicazione concreta di determinate scelte tecnologiche e quindi di offrire indicazioni preziose sulle soluzioni da adottare. In quello che è stato un anno davvero complicato, bisogna sottolineare che Trenord ha cominciato il 2020 con l’immissione di nuovi treni e l’ha concluso con l’acquisto dei treni a idrogeno. Quindi diciamo che nonostante tutto la sostenibilità è rimasta nel nostro DNA, fa parte ormai di una storia che abbiamo imboccato fatta di azioni concrete, cose fatte, non annunci».
Dal punto di vista dell’innovazione digitale, invece, in che cosa si traduce il vostro impegno attuale?
«Da questo punto di vista ci stiamo muovendo in due direzioni che riteniamo essere particolarmente significative. La prima riguarda la domanda di mobilità: riteniamo che per essere sempre più vicini alle esigenze dei nostri viaggiatori sia fondamentale diventare capaci di leggere questa domanda. A questo fine stiamo sviluppando un progetto, in collaborazione con Vodafone, che ci consenta di leggere i flussi dei passeggeri – orari, percorsi, distanze, ecc. – e costruire un sistema, e quindi un servizio, sempre più efficace ed efficiente. La seconda è lo sviluppo dell’utilizzo, in generale dei big data che riusciamo a raccogliere attraverso la nostra App non tanto in chiave commerciale, ma in particolare dal punto di vista dell’informazione che può essere fornita ai passeggeri quando ne abbiano bisogno: per pianificare un loro viaggio, avere delle alternative sui percorsi, mettere in atto determinati comportamenti quando dovesse sorgere un problema nel corso del viaggio, ecc.».
Un’ultima domanda: tra le sfide future, qual è quella che vorreste vincere prima di tutte?
«Rispondo citando Piero Bassetti: “Ciò che comanda lo sviluppo sul territorio sono le funzioni, non sono i confini amministrativi”. Ecco, noi abbiamo un sistema che invece è retto sui confini amministrativi per cui si parla ancora di Provincia di Varese, di Milano, di Como, di Sondrio… Ma i confini territoriali amministrativi non c’entrano niente, nella gestione della vita sociale di tutti i giorni. A comandare sono le funzioni, l’università, gli ospedali, le grandi aziende, i centri commerciali, gli eventi, le entità, cioè, che muovono le persone che, per dirla sempre alla Bassetti, non si interessano ai confini amministrativi, giustamente. Per questo la prima nostra sfida, quando parliamo di mobilità, è di osservarla a partire dalle funzioni ed è quello che contiamo di fare con sempre maggiore convinzione».
di Luca Palestra
(da CSRoggi Magazine, anno 6, n.1, Gennaio/Febbraio 2021, pag. 14)