C’è chi parla di Verde e Blu. C’è chi, invece, pensa alle twin transition: le transizioni gemelle. Sta di fatto che è sempre più forte la consapevolezza che “Trasformazione digitale” e “Sostenibilità” siano due facce della stessa medaglia. Il paradosso, però, è che ancora oggi questi fenomeni vengono percepiti come due elementi tra loro separati, senza una reale comprensione della loro dimensione sistemica.

Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale.

Invece è proprio a partire dalla consapevolezza del filo che unisce questi due elementi che si dovrebbe parlare di Sostenibilità Digitale: un concetto che, come spiegato da Stefano Epifani nel suo libro “Sostenibilità Digitale”: “definisce il ruolo sistemico del digitale rispetto alla sostenibilità, guardando ad esso da una parte come strumento di supporto per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, dall’altra come elemento da indirizzare attraverso criteri di sostenibilità. In questo duplice ruolo, la sostenibilità digitale riguarda quindi le interazioni della digitalizzazione e della trasformazione digitale rispetto a sostenibilità ambientale, economica e sociale”.

Non si può parlare di sostenibilità senza parlare di digitale
«Pensare di parlare di sostenibilità senza parlare di trasformazione digitale, semplicemente, non ha senso». È netto Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, rispetto al ruolo della digitalizzazione in relazione alla sostenibilità.

Ma è proprio così, o la sua è una provocazione?
«Nessuna provocazione: digitale e sostenibilità sono inestricabilmente connessi e l’uno ridefinisce il senso dell’altra. Parliamo di transizione energetica: non esiste smart grid senza digitale, né esistono co-generazione diffusa o micro-generazione. Il concetto stesso di transizione verso le energie rinnovabili è intrinsecamente legato alla presenza diffusa e pervasiva di reti digitali. E lo stesso vale per l’economia circolare, per il riciclo delle materie prime e delle materie prime seconde, per lo sviluppo di modelli di business basati sulla sharing economy (quella vera). Non è un tema che riguarda solo la dimensione ambientale, ma tocca trasversalmente anche economia e società».

E le aziende?
«Le aziende hanno due strade: comprendere la direzione del cambiamento e anticiparlo cogliendone le opportunità, oppure subirne le retroazioni negative. Quello che è successo negli anni scorsi con la digitalizzazione succederà con un’enfasi ancora superiore per la sostenibilità digitale. Dobbiamo capire tutti la dimensione del cambiamento: se la sostenibilità non entra nel modello di creazione del valore non è sostenibilità. È greenwashing».

Ma le organizzazioni italiane sono preparate?
«Stiamo lavorando a una ricerca sul punto di vista dei c-Level italiani sull’impatto della sostenibilità digitale sulle strategie di impresa: i risultati sono molto variegati. Abbiamo aziende (e manager) che lo hanno capito perfettamente. Ma molte altre fanno fatica: arrancano e sono convinte che sia sufficiente piantare alberi e comprare bottigliette di alluminio per chiudere la questione».

Che cosa serve, quindi, per affrontare il problema?
«Servono molte cose, ma soprattutto consapevolezza della direzione del cambiamento, competenze per gestirlo, formazione per sviluppare cultura diffusa e capacità di leggere e misurare la propria condizione. Come fondazione di ricerca, grazie ai nostri partner, stiamo lavorando su molti di questi fronti. Con il network delle Università abbiamo realizzato un corso di alta formazione per sensibilizzare i decisori aziendali; con un gruppo di aziende che spazia da ENEL ad Italgas, da Cisco a DNV stiamo lavorando a uno strumento di misurazione dell’indice di sostenibilità digitale delle organizzazioni, per aiutarle a comprendere misurare il loro livello di performance; con EHT, un altro dei nostri soci, stiamo lavorando a un roadshow che toccherà molte università italiane per promuovere un premio per gli studenti dedicato, ovviamente, alla sostenibilità digitale».

Quanto contano, in questo, le Istituzioni?
«Moltissimo. Per questo proprio in questi giorni abbiamo lanciato il DiSI: un indice che misura la consapevolezza dei cittadini delle diverse Regioni italiane rispetto al ruolo della tecnologia digitale per la sostenibilità. Capire qual è il posizionamento degli abitanti di un territorio è indispensabile per definire le politiche pubbliche di supporto. C’è molto da fare ancora: anche rispetto al PNRR, che troppo spesso guarda a questi fenomeni come se fossero separati e indipendenti tra loro».

La Fondazione per la Sostenibilità Digitale
Un tema del quale – oggi più che mai – ogni azienda si dovrebbe occupare per comprendere da una parte in che modo la tecnologia digitale abbia una funzione trasformativa rispetto al business e, dall’altra, in che modo la sostenibilità ridefinisca il senso stesso del loro business in relazione ai consumatori, alle filiere di produzione, alla value chain nel suo complesso: l’attenzione delle imprese, dunque, dovrebbe rivolgersi ad entrambe le parti, in maniera complementare.
Ed è proprio lo studio delle dinamiche indotte dalla trasformazione digitale – con particolare riferimento agli impatti sulla sostenibilità ambientale, economica, sociale e culturale – la mission della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. La Fondazione, la prima nata in Italia a occuparsi di questo tema, raccoglie e mette a sistema un vasto network di Università (dalla Sapienza di Roma all’Università di Pavia, dall’Università di Cagliari a quella di Urbino, dal Politecnico di Palermo a quello di Torino), aziende (da ENEL ad ENI, da Cisco a ACI Informatica) e Istituzioni (dal Dipartimento della Trasformazione Digitale all’Istat).

Il primo anno di attività
Nata lo scorso 22 aprile 2021 in occasione della Giornata Mondiale della Terra, ha celebrato proprio in questi giorni il suo primo anno di attività, presentando il suo Osservatorio sulla Sostenibilità Digitale, il primo osservatorio nazionale dedicato a studiare e approfondire l’opinione degli italiani rispetto alla loro percezione dei punti di contatto tra trasformazione digitale e sostenibilità e la loro aspettativa sugli impatti del digitale come motore di sviluppo sostenibile.
Un impatto che può e deve essere misurato: per farlo ha sviluppato il DiSI (Digital Sustainability Index): un sistema di indicatori ideato per misurare quanto persone e organizzazioni utilizzino la tecnologia digitale come strumento di sostenibilità.

di Lorenzo Papale – Editor di TechEconomy 2030

(da CSRoggi Magazine – Anno 7 – n.2 – Marzo/Aprile 2022; pag. 40)

 

 

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