In questo numero di CSRoggi la seconda parte di una rassegna di best pratice, che ci auguriamo possa offrire spunti utili per far crescere la qualità della rendicontazione sociale e di sostenibilità e aumentare la consapevolezza della centralità di questo strumento che può rappresentare una leva di trasformazione, in grado di innovare cultura organizzativa, metodologie gestionali e prassi relazionali.

L’Agenda 2030 ONU sottolinea che l’attuazione dei Global Goals non può che avvenire nell’ambito di partenariati multi-stakeholder dove scelte e attività convergano verso la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile.

Questo modello richiede, infatti, l’adozione di: una visione condivisa e obiettivi comuni tra i soggetti pubblici, privati e non profit; un sistema di metriche multidimensionali che evidenzino i cambiamenti prodotti e il contributo di ciascuno all’attuazione degli obiettivi; dialogo e partecipazione per consentire una valutazione consapevole e informata degli effetti e impatti prodotti, in una logica consuntiva e programmatica.

In questa logica, la rendicontazione sociale rappresenta una formidabile bussola per fare un bilancio dell’efficacia e delle performance ESG sia della singola organizzazione, sia di sistemi più complessi e multistakeholder.
Per le istituzioni dotarsi di un Bilancio sociale significa misurare e comunicare l’attuazione degli impegni assunti con i cittadini e la coerenza della visione politica con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ripresi anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

In ambito pubblico, il Bilancio sociale affonda le sue radici nei principi di funzionamento democratico e favorisce una partecipazione consapevole e informata dei diversi stakeholder, in quanto chiarisce il senso di scelte e attività, rendendo l’azione amministrativa trasparente, verificabile e valutabile.

Per gli Enti Non Profit l’importanza della rendicontazione sociale si è resa ancora più evidente con la Riforma del Terzo Settore che ha introdotto l’obbligo di redigere il Bilancio sociale per gli ETS con ricavi superiori a 1 milione di euro e ha comunque rinforzato anche per gli altri la disclosure di informazioni relative all’impiego delle risorse economiche e alla capacità di perseguire le finalità istituzionali.

In questo settore, rappresenta dunque un indispensabile strumento per verificare l’aderenza alla missione sociale e misurare il valore prodotto – nella prospettiva del social impact – per i diversi interlocutori, interni ed esterni, istituzionali e non, rinforzando la fiducia nell’organizzazione e la capacità di attrarre risorse, come ad esempio volontari, donazioni, collaborazioni.

La tassonomia verde, lo sviluppo del dibattito sui fattori ESG e i nuovi obblighi normativi hanno stimolato le imprese a sviluppare un orientamento sempre più maturo alla sostenibilità, superando l’approccio di mera compliance o di “vetrina” a favore della costruzione del “successo sostenibile”, come citato dal nuovo Codice di Corporate Governance. Un solido sistema di reporting evoluto e multidimensionale è ormai riconosciuto come una vera e propria leva di competitività in un mercato sempre più critico ed esigente, oltre che un requisito fondamentale per l’accesso al credito e l’attrazione di capitali. La vera sfida oggi, infatti, è orientare sempre più i flussi di capitali verso investimenti sostenibili e responsabili.

La rendicontazione sociale si sta sempre diffondendo sempre di più anche nelle associazioni di rappresentanza che in particolare nel contesto pandemico hanno riconfermato la centralità del loro ruolo. In questo caso il Bilancio sociale rappresenta l’occasione per restituire agli associati l’efficacia dell’azione di rappresentanza e dei servizi e attivare con istituzioni e decision maker un confronto chiaro e trasparente su come le istanze proposte siano state accolte o considerate. Diventa quindi una leva di marketing associativo e posizionamento autorevole anche nei confronti delle istituzioni, che aumenta consenso e capacità di incidere su scelte e politiche.

Per tutti i settori, la rendicontazione sociale è un processo che accresce credibilità e fiducia, veri e propri capitali, anche se intangibili, che consentono di produrre valore nel lungo periodo, riducendo i costi di transizione e favorendo la costruzione di relazioni stabili e fidelizzate con i diversi stakeholder.
Un reporting di qualità contribuisce non solo al successo delle diverse organizzazioni, ma anche allo sviluppo di un’azione di sistema che coinvolga ogni soggetto in una chiara “filiera di corresponsabilità” per il raggiungimento dei Global Goals, in linea con l’Obiettivo 17 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Il Bilancio sociale e di sostenibilità presenta un esame di realtà sul contesto e sui bisogni, chiarisce il senso – ossia significato e direzione – delle scelte, misura il raggiungimento degli obiettivi comuni, rende confrontabili le performance economiche, sociali e ambientali e di conseguenza favorisce un’azione sempre più coordinata e integrata tra istituzioni, imprese e società civile.

Nell’introduzione allo scorso numero di CSRoggi, abbiamo presentato i requisiti per la costruzione di un reporting di qualità che risultano validi anche per sperimentare l’efficacia della rendicontazione applicata a sistemi complessi come territori, comunità, distretti, ecc.
In questa logica, la rendicontazione digitale è la forma più adatta per infrastrutturare una governance allargata e partecipata. OpenReport, rispetto alla rendicontazione tradizionale, è un ambiente dinamico, accessibile e aggiornato in itinere per misurare e comunicare, anche su progetti di lungo periodo, risultati, effetti e impatti, aumentando consapevolezza, engagement e corresponsabilità dei diversi attori del sistema.

di Cristiana Rogate
Fondatrice e CEO di Refe

(da CSRoggi Magazine, anno 6, n.5, Novembre/Dicembre 2021, pag . 8)

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