È un viaggio, quello delle partnership profit/non profit, non semplicissimo, perché nel momento in cui si parte a dialogare si cominciano a incontrare alcune difficoltà. Ma ciò che è sicuro è che certi problemi, specie se di dimensioni importanti, senza partnership non trovano soluzione.
L’evento di oggi è nato dall’esigenza di prestare attenzione al goal numero 17, che è stato messo per ultimo, nella serie di obiettivi indicati dall’ONU, ma che forse è il più importante di tutti. Se pensiamo al mondo della sostenibilità applicata dalle aziende ci accorgiamo che il mondo è diviso in due, con una polarizzazione che appare sempre più forte.
Da una parte ci sono le aziende che vedono la sostenibilità come un tema di comunicazione, che sono quelle che poi rischiano di cadere nel greenwashing o nel social washing, con un racconto che non è corrispondente alla realtà, perché di fatto cercano argomenti un po’ “pilotati” per poter raccontare la loro storia.
Dall’altra abbiamo aziende che fanno fatica, perché cercano di far sì che la sostenibilità sia parte della strategia aziendale. In questo caso, paradossalmente, il rischio di green washing e social washing è più basso perché queste aziende hanno la tendenza a non raccontare quello che fanno, perché hanno paura, raccontandolo, di incespicare proprio in problematiche di green washing o social wa- shing. Sono realtà che decidono di prendere qualche SDGs come riferimento, lo fanno liberamente e con l’intenzione di contribuirvi, non solo di raccontarlo, ma anche di dare un proprio contributo.
Qual è la spia che ci permette di distinguere le seconde dalle prime? Hanno piani strategici di sostenibilità, sono molto attive nello stakeholder engagement, ma la spia forte è quando aspetti sociali e ambientali cominciano a rientrare nei sistemi di incentivazione, nel modo con cui vengono remunerati i manager e in quello in cui vengono remunerate le persone. Quando ci sono questi aspetti comincia a esserci un significativo segnale di serietà.
Aziende virtuose e problemi
Ma quali sono i tipici problemi con cui le aziende di questa seconda categoria, cioè quelle che provano a intraprendere il cammino di sostenibilità, si scontrano?
Il primo è che spesso ci si trova di fronte alla necessità di prendere decisioni e non si hanno le informazioni necessarie. Si vuole aprire un nuovo impianto di produzione in Brasile, ad esempio, si vuole contribuire alla comunità locale, avere un approccio responsabile, ma non si conosce la comunità locale, non si hanno le informazioni e quindi c’è la fatica di non riuscire a prendere le decisioni.
O, ancora, ci si trova ad affrontare problemi che non hanno una soluzione già pronta, già fatta, bisogna inventarsi qualcosa di nuovo ogni volta. E spesso si fa fatica a capire anche gli effetti indiretti di ciò che si fa, magari nella prospettiva dell’azienda non si riesce a comprendere appieno ciò che può comportare, ad esempio, un cambiamento di politica della catena di fornitura, o interrompere una relazione, o cambiare un processo produttivo… si fa molta fatica.
E allo stesso tempo ci si rende conto che spesso alcuni problemi sono tra loro interdipendenti, che una soluzione a una problematica la si può trovare solo se tutti gli operatori del settore si adeguano, non solo un operatore. Altre volte, gran parte delle volte, ci si trova ad affrontare un problema di dimensioni 10 con risorse aziendali di dimensione 1, non si hanno le dimensioni adeguate.
La nascita delle partnership
Poi a un certo punto, chi intraprende questo cammino arriva a rendersi conto che da solo non può trovare soluzioni a tutti i problemi che si trova di fronte di natura sociale e ambientale, non può di fatto riuscire a cambiare la struttura del settore. E allora, qual è la soluzione? Sta proprio in quell’ultimo tassello, quell’SDGS 17 che spesso non viene neanche considerato, che nell’accezione originale non riguarda solo profit-non profit ma riguarda anche organizzazioni governative, partnership più in senso lato. Cioè: la ricerca di collaborazioni è fondamentale per riuscire ad affrontare in modo efficace ed efficiente un cambiamento verso modelli di business più sostenibili.
Questo porta a far nascere le partnership. Ne nascono di diversi tipi: partnership all’interno di un settore, partnership tra settori, partnership che hanno dimensioni geografiche: queste sono le classiche dimensioni che abbiamo in tutte le attività aziendali. Ma quando si parla di partnership c’è un’altra categoria di dimensione da tenere in considerazione, che è la natura dell’organizzazione che diventa partner. Abbiamo partnership tra profit e no profit, tra profit e Pubblica Amministrazione, le complicatissime partnership bilaterali con organizzazioni non profit e aziende private. Oggi nel nostro approfondimento ci concentriamo in prevalenza sulle partnership profit/non profit che cercano di risolvere un problema di natura sociale o ambientale o comunque che si pongono il fine di rendere un’azienda più sostenibile.
La dura vita delle partnership
È un viaggio, quello delle partnership profit/non profit non semplicissimo, perché nel momento in cui si parte a dialogare si cominciano a incontrare alcune difficoltà. Non si sta parlando di barriere insormontabili, ma ci si comincia a scontrare con alcuni elementi che possono rendere una partnership un po’ più faticosa. Che vanno dal fatto che quando si coinvolgono nuovi partner bisogna un po’ conoscersi, interagire, avere la possibilità di comprendersi e questo richiede tempo. Questi rapporti richiedono anche il tempo necessario ad assicurarsi che il partner abbia un interesse effettivo alla relazione e quindi possa fiorire un po’ di fiducia, che è molto importante perché, di fronte a situazioni complicate, avere fiducia nel partner – profit o non profit a seconda della parte in cui ci si trova -, significa partire dal presupposto che si vuole cercare una soluzione comune e condivisa.
Possono inoltre nascere tensioni, perché comunque gli obiettivi non sono necessariamente convergenti, per natura sono un po’ divergenti. Quindi serve anche la disponibilità per partire per un viaggio che può avere una certa meta all’inizio e può subire, nel tempo, dei cambiamenti. In quei momenti serve una disponibilità che non tutte le organizzazioni profit – io sono un po’ più esperto di profit rispetto al non profit – risultano avere. Il punto è che bisogna avere voglia di affrontare il cambiamento. Alcune odiano il cambiamento in corsa, sviluppano anticorpi al cambiamento in corsa. Quindi serve un po’ di processo di adattabilità in questo senso.
Importanza delle best practices
Come si fa a sopravvivere? Ci sono due modi per farlo: il primo è quello di sbagliare e imparare, nelle partnership spesso i primi tentativi non funzionano: tentativi, errori e apprendimenti, sistema molto nobile ma poco efficace. Il secondo, che è invece molto efficace, anche se apparentemente meno nobile, è copiare, imparare dalle esperienze di altri. In azienda si parla di best practices: di fatto è il fenomeno dell’emulazione e della copiatura, di assoluta dignità e di un’efficienza pazzesca.
Ed è il punto centrale dell’evento di oggi: raccontare storie che permettano di apprendere, di capire e di non dover imparare con i propri errori, grazie alla disponibilità di persone che certe cose le hanno già vissute o le stanno vivendo e che si mettono al tavolo a raccontarle. Per concludere, quello che è sicuro è che certi problemi, specie di dimensioni importanti, senza partnership non trovano soluzione. Quindi o accettiamo il permanere dei problemi oppure intraprendiamo strade pur rischiose, senza garanzie, ma che cercano di fornire una soluzione.
di Matteo Pedrini
Direttore ALTIS Università Cattolica
( da CSRoggi Magazine – n.2 – Anno 9 – Aprile/Maggio 2024; pag. 24 )