Inatteso stop sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive, la direttiva europea che promuove la sostenibilità ambientale e sociale in tutte le catene di fornitura. Un altro segnale dell’atteggiamento troppo dirigistico dell’Unione Europea?

 

 

Negli scorsi giorni è avvenuto qualcosa di inatteso eppure prevedibile. Dopo le pressioni di Germania, Italia, Finlandia e Austria il Consiglio Europeo ha rinviato la votazione, originariamente prevista per il 9 febbraio 2024, sul testo Direttiva Corporate Sustainability Due Diligence (la “CSDD”).

L’approvazione della direttiva CSDD slitta a data da destinarsi.
È la prima volta che i malumori di alcune parti politiche riescono a frenare un provvedimento a pochi metri dal traguardo.

In passato, una mozione di alcuni parlamentari europei aveva richiesto, senza successo, la posticipazione della entrata in vigore della direttiva sulla Corporate Sustainability Reporting Directive. Si tratta dunque di un fatto inatteso. Ma quali sono le ragioni di questo – speriamo momentaneo – cambio di rotta?

Sicuramente, dopo la fine della pandemia Covid-19, il contesto economico e politico internazionale non è migliorato e, anzi, sono subentrate ulteriori emergenze. La proliferazione dei conflitti in tutto il pianeta ha reso più difficile gli approvvigionamenti di materie prima ed energia. Non solo; anche lo sbocco delle imprese europee su taluni mercati esteri si è fatto via via più difficile.

Nel frattempo, i grandi player industriali e finanziari hanno cominciato a domandare, ai soggetti della catena del valore, la conformazione alle policy ambientali e sociali derivanti dall’applicazione degli atti europei. Conseguentemente, le piccole e medie imprese hanno visto una fonte di ulteriori costi e adempimenti. Ed è innegabile che – nel breve periodo – le spese così sostenute fatichino a rivelare la propria natura di investimento e, dunque, la successiva capacità produttiva. Tutto ciò avviene in un contesto economico che rivela plurimi segnali di rallentamento e conseguente affaticamento del sistema produttivo.

Vi è però dell’altro.
Le normative europee sin qui emanate – sia nelle forme del regolamento che delle direttive – hanno lasciato poca voce alla società civile. Ciò, non tanto nella fase di consultazione, quanto, piuttosto, in quella del recepimento nelle normative nazionali. Non è stato per esempio previsto che, nella fase di recepimento e attuazione, la definizione degli obblighi delle grandi imprese in merito al governo dei rischi di sostenibilità fosse demandata alla contrattazione collettiva. Una simile scelta avrebbe probabilmente rallentato il processo legislativo, ma, paradossalmente, avrebbe accelerato la maturazione di una consapevolezza culturale della necessità del cambiamento.
Oltre che della sussidiarietà orizzontale, il coinvolgimento diretto delle parti interessate sarebbe stato un metodo rispettoso di quello stakeholders engagement che proprio le logiche di sostenibilità vorrebbero promuovere.

Qualcosa del genere, del resto, è previsto dal testo della CSDD che, all’art. 12, prevede l’emanazione da parte della Commissione Europee di clausole contrattuali tipo per facilitare l’adempimento delle imprese dei nuovi obblighi di controllo e governo della catena di fornitura; secondo la disposizione, l’emanazione sarebbe dovuta avvenire “in consultazione con gli stati membri e le parti interessate”.
Tuttavia, confinato a una simile fase dell’attuazione della direttiva il coinvolgimento delle parti sociali ne svilisce il ruolo: l’autonomia privata – cardine del sistema economico – degrada da protagonista del contratto a mero suggeritore o consulente per la redazione di best practice.
Evidentemente, diverso ruolo avrebbe l’autonomia privata se, al medesimo articolo 12, si disponesse che gli Stati membri “provvedano a che le parti sociali in consultazione tra loro predispongano clausole contrattuali tipo”.

Non è stata questa la scelta del legislatore europeo che, negli ultimi anni, nella gestione della sostenibilità ha virato con decisione da un atteggiamento promozionale a uno decisamente dirigistico.
È un tradimento evidente dello spirito delle origini: la responsabilità sociale di impresa quale insieme di politiche e azioni volontarie adottate dalle imprese.
Era ampiamente prevedibile, però, che, prima o poi, la società civile vivesse una crisi di rigetto verso il più recente corso politico a matrice regolatoria.

di Marco Cristiano Petrassi
Avvocato

( da CSRoggi Magazine – n.1 – Anno 9 – Gennaio/Febbraio 2024; pag. 42 )
(Foto di Guillaume Périgois su Unsplash)

 

 

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