La parola spauracchio del 2023 è senza dubbio “greenwashing”, perché il pericolo, oggi, è più che mai questo: che il carro della sostenibilità venga preso d’assalto da chi, senza sentirne la portata etica, ritenga di farne uso per un proprio ed esclusivo interesse personale o aziendale.

 

Si può dire che negli ultimi mesi la sostenibilità si sia veramente imposta in tutta la sua potenza. Ci sarebbe da stare allegri, se non fosse che tutto questo successo sta generando in molti qualche perplessità e forse anche qualche timore.

Chi è dedito da tempo, ormai da anni, al pensiero e alle azioni sostenibili non può non rendersene conto: il proliferare improvviso di nuovi adepti di questo moderno modo di pensare non è del tutto rassicurante.

Per vari motivi, tra cui il principale è il fatto che alla sostenibilità non ci si arriva all’Improvviso, non la si improvvisa. Lo sanno bene quei manager che in tutti questi anni hanno dovuto lottare con dirigenti superiori o di pari grado che, lungi dall’essere accomodanti, hanno pensato a lungo di avere a che fare con visionari, idealisti, persone poco concrete con una visione del mondo per niente collegata a quelli che sono i problemi reali, con cui bisogna fare i conti tutti i giorni.

Lo sa ancora meglio chi alla sostenibilità ha dedicato tempo, studi, conoscenze e che ha contribuito con la propria esperienza maturata sul campo a fissare quelle “regole” che oggi ci permettono di codificare questo pensiero evolutivo dai limiti, peraltro, ancora in gran parte sconosciuti.

Tra le righe dell’entusiasmo che si può provare per questa rapida diffusione – in fondo siamo tutti persone che della sostenibilità abbiamo fatto se non proprio la nostra vita almeno buona parte di essa – comincia a crescere con sempre maggiore vigore il desiderio di essere vigili, di non permettere che i numerosi nuovi arrivati, novelli sostenitori non si sa quanto disinteressati, rovinino un castello costruito in molti anni, con tanta pazienza e meticolosità.

La parola spauracchio del 2023 è senza dubbio greenwashing, perché il pericolo, oggi, è più che mai questo: che il carro della sostenibilità venga preso d’assalto da chi, senza sentirne la portata ideale, ritenga di farne un uso per proprio ed esclusivo interesse, personale o aziendale che sia.

Il triste destino dei fotografi
Non è così strano che questo accada, è facile rendersi conto che accanto a un mondo che ha fatto già da tempo un passo deciso verso una gestione sostenibile della propria esistenza, c’è chi pensa che tutto questo sia dovuto a una moda, a essere gentili, se non addirittura all’intenzione, e questo è meno gentile, di sovvertire i punti fermi della nostra cultura per imporne altri che poco hanno a che fare con la nostra normale e comune convivenza sociale.

Qualche esempio? Si parla ormai in modo del tutto naturale di cambiamento climatico – e le cronache sono ricche di tragiche notizie che lo riguardano – ma c’è ancora chi ritiene si tratti solo di sciocchezze. Persone che hanno saputo smuovere le coscienze e far sì che ci sia maggiore attenzione in questo ambito vengono spesso derise e derubricate al ruolo di arriviste che cercano solo un successo personale.

Altro esempio, l’inquinamento: tutti se ne lamentano, tutti vorrebbero fosse risolto ma molti sono pronti a cambiare idea quando vengono toccati direttamente dalle azioni messe in campo per contenerlo. Anche il passaggio all’energia rinnovabile viene sotto-sotto combattuto. “I pannelli fotovoltaici sono tutti di produzione cinese” si dice – ma perché invece di lamentarci non cominciamo a produrli anche noi? – e “le pale eoliche rovinano i nostri paesaggi” sottolinea chi probabilmente non ha mai abitato in zone di montagna, nei pressi delle grandi centrali idroelettriche, dove da sempre tra un albero e un altro si contano decine e decine di mostruosi tralicci dell’alta tensione.

I cambiamenti richiesti – come ad esempio quello del passaggio dai mezzi di trasporto tradizionali a quelli elettrici, passaggio considerato necessario per il raggiungimento delle zero emissioni entro il 2050 – vengono contestati perché, si dice tra l’altro, comporteranno la perdita del lavoro di migliaia di persone. Una preoccupazione legittima, che però non sempre è venuta, in passato, così a galla. Abbiamo tutti presente, per fare un piccolo esempio, che cosa abbia rappresentato per l’industria della fotografia l’avvento del cellulare: stop alle vendite dellemacchine fotografiche, scomparsa dei rullini, annientamento dell’attività di sviluppo delle stampe… non risulta che nessuno ne abbia mai parlato, di questo come di altre centinaia di casi simili, o ne abbia fatto una propria campagna sociale e politica. Forse perché certe battaglie danno più visibilità di altre?

Battaglia contro la sostenibilità
Sono davvero molte le persone che combattono ogni giorno la loro battaglia contro gli obiettivi che la parte più sensibile dell’umanità ha deciso di porsi. Una situazione che dimostra come esista una corrente di pensiero che non vorrebbe si voltasse pagina verso un approccio più sostenibile della vita. Persone che pensano di operare un proprio diritto di critica, che è sacrosanto quando è costruttivo, ma che invece sono probabilmente manipolate da chi cerca di affermare la propria opera di demolizione preconcetta, celata da senso di responsabilità, con cui si cerca di minare le fondamenta di un pensiero che, per svilupparsi pienamente, ha invece bisogno di basi forti, solide e diffuse.

Proprio per questo, in questo momento, le aziende, gli enti, le università, le realtà del Terzo settore e le singole persone che svolgono in modo onesto e sincero attività sostenibile – ognuno per quello che può – sono sempre più da valorizzare, da sostenere. E devono diventare sempre più un esempio per tutti gli altri, soprattutto per i giovani, che hanno bisogno di crescere con ideali nuovi, rispettosi.

Ecco, forse bisognerebbe fare entrare con maggior vigoria la sostenibilità nelle scuole primarie e secondarie, quelle in cui si forma, o perlomeno si dovrebbe formare, la coscienza dei futuri cittadini. Bisognerebbe farne una materia da inserire in pianta stabile nell’ambito dell’educazione civica, perché diventi davvero uno dei fondamenti della cultura del nostro Paese.

Ora più che mai, in questo momento di “grande successo” della sostenibilità, questa sembra essere diventata un’esigenza improrogabile.

di Luca Palestra
Caporedattore CSRoggi

(da CSRoggi Magazine – Anno 8 – n.1 – Febbraio 2023; pag. 72)

 

 

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