Per quarantacinque giorni, quelli dell’emergenza più nera, è stato rinchiuso a Tresivio, vicino a Sondrio, nei locali del centro di formazione del gruppo. Da lì Luigi Lovaglio ha guidato il Credito Valtellinese, che l’azionista Denis Dumont, oggi al 9,9 per cento nel capitale, gli ha affidato nel febbraio 2019. Il Creval era in difficoltà, è stato salvato dai francesi. Prima Dumont, poi il Crédit Agricole, oggi al 5 per cento. Una ristrutturazione che la pandemia da Covid 19 ha rischiato di interrompere. Il titolo, che a febbraio quotava a 9,4 euro (calcolato ex raggruppamento del 1° giugno) è crollato fino a 3,71 euro. Prima di risalire a fine maggio, guadagnando il 35 per cento in quattro sedute.
Lovaglio, iniziamo dalla Borsa. Il titolo si è messo a correre. Come lo spiega?
«Credo sia normale aspettarsi che il mercato si accorga degli spazi di crescita che esistono rispetto ai risultati che il Credito Valtellinese sta mettendo a segno, trimestre dopo trimestre».
Se ne è accorta Morgan Stanley, che ha più del 6 per cento delle vostre azioni.
«Penso si tratti per lo più di operazioni di prestito titoli. Ma tra gli azionisti nell’ultima assemblea c’era anche BlackRock».
Avete raggruppato le azioni. Perché?
«Per ridurre la volatilità e attirare un certo tipo di investitori istituzionali che non possono investire nelle cosiddette penny stock. Ritengo che il Creval possa essere una buona opportunità di investimento, considerato il profilo di rischio e l’efficienza raggiunta dalla macchina operativa».
Avete chiuso il primo trimestre 2020 con un utile di 25,3 milioni di euro. Ma la pandemia si manifesterà soprattutto nel trimestre in corso. Con quali effetti?
«Ci sarà un inevitabile calo dei ricavi nei mesi di aprile e maggio e credo che questo per tutto il sistema sarà il trimestre più impattato. Ma credo anche che si tratterà di un calo temporaneo e i ricavi riprenderanno nella seconda metà dell’anno. Le misure del governo ritengo possano accompagnare le aziende a uscire dalla crisi. Le grandi imprese hanno maggiori possibilità di manovra, noi accompagneremo le pmi e le famiglie, che sono il nostro target».
Cosa ha fatto il Creval, in concreto?
«Il nostro piano industriale si basa su pragmatismo e sostenibilità. Ci siamo focalizzati su ciò che dipende da noi a prescindere da fattori esterni, il rapporto con la nostra clientela in primis, l’essere agili, rapidi ed efficienti. Abbiamo voluto esserlo anche durante il lockdown, garantendo piena operatività e tenendo presente che la priorità era ed è la tutela della salute. Prendiamo i finanziamenti da 25 mila euro. Abbiamo ricevuto circa 12 mila richieste, con un team dedicato di 50 persone abbiamo già perfezionato oltre il 70% dei finanziamenti ed il restante sta per essere erogato. Nelle ultime settimane il flusso si è stabilizzato con in media 150 pratiche al giorno».
E sulle moratorie?
«Siamo intervenuti a fine febbraio, prima ancora dell’Abi. Consapevoli che il nostro ruolo non si deve limitare a posticipare le rate di 12 mesi, bensì accompagnare l’azienda con un programma che la possa aiutare a sviluppare il proprio business nel futuro. È guardare avanti, con un’ottica di medio periodo, fino al pieno ritorno alla normalità».
In poco più di un anno cosa è cambiato?
«Molte cose sostanziali. Oggi il Creval ha una forza patrimoniale tra le maggiori in Italia, con un Cet1 ratio al 15,7 per cento; un basso profilo di rischio; una evidente capacità di generare capitale; una forte liquidità. L’indicatore Cet1 ratio ci pone 700 basis point al di sopra dei livelli regolamentari e nello specifico rappresentano oltre 500 milioni di free capital. A tutto questo si aggiunga la capacità di ridurre i costi del 10 per cento anno su anno, circa 40 milioni di euro, senza licenziamenti. Una dinamica che ci potrebbe portare ad anticipare i target di costo previsti a piano».
Qual è stata la formula magica?
«Abbiamo bandito lo spreco, anche come forma di rispetto verso i colleghi, gli azionisti, la clientela. E fatto dell’eccellenza del credito il nostro futuro. Questo ci ha portato a essere più efficienti e agili. Eravamo già avviati sulla strada dello smart working, ma prima lo praticavano in trecento, oggi 1.500 dei 3.500 dipendenti del gruppo, il 95 per cento dell’head office, lavora da remoto e oltre il 60 per cento del network può farlo».
Lei ha trovato una banca appesantita dagli Npl. C’erano 1,9 miliardi di crediti problematici. Un’enormità. Qual è la sua posizione dopo vendite per 500 milioni?
«Continuare nella cessione degli Npl. Abbiamo venduto sofferenze lorde per oltre 500 milioni, vogliamo cederne ancora entro l’anno. Inoltre il flusso dei nuovi deteriorati si è ridotto di oltre il 30%, portando il default rate sotto l’1,6 per cento dal 2,3 per cento di inizio 2019. Conto che il costo del rischio a fine di quest’anno, Covid permettendo, sia per noi tra gli 80 e i 90 basis point».
Tra i molti soci finanziari c’è un unico socio industriale, il Crédit Agricole, con cui avete un accordo di «bancassurance». Nascerà qualcosa di più?
«Con il Crédit Agricole c’è un accordo nel business assicurativo Vita che funziona benissimo, di reciproca soddisfazione, che porta a entrambi redditività e ricavi. Al momento l’attenzione è su come continuare a creare valore con la nostra partnership».
Pagherete un dividendo nella primavera del 2021, a valere sull’esercizio in corso?
«Il piano lo prevede. La nostra intenzione è confermare quanto indicato nel piano».
di Stefano Righi