La sostenibilità, anche quella ambientale, potrà realmente camminare solo se saremo veloci a perseguire gli obiettivi e onesti nel riconoscere la natura e l’origine dei problemi sia all’interno delle singole nazioni, sia nel disegno complessivo delle istituzioni europee.
Oggi per fortuna il tema della sostenibilità è al centro dell’interesse di molti: policy maker, opinion leader, politici, imprenditori e consumatori. I 17 obiettivi dell’agenda ONU 2030 sono ben noti, anche se non è chiaro, almeno nell’immaginario collettivo, se esista o debba essere esplicitato un ordine di priorità fra gli stessi. Non è infatti concepibile che, in concreto, sia possibile perseguire appieno e nell’arco di 10 anni tutti i 17 grandi obiettivi, a loro volta dettagliati in circa 170 target.
Giusto o sbagliato che sia, l’Unione Europea, e non solo lei, sembra aver posto al centro la sostenibilità ambientale: il Green Deal e a cascata il Recovery Fund e i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza sembrano concepiti intorno all’idea centrale di voler contrastare i cambiamenti climatici attraverso innovazioni di prodotto e di processo che vadano nella direzione di ridurre l’impronta ecologica delle attività di consumo degli individui e di produzione delle imprese nonché delle amministrazioni pubbliche.
Con riferimento al nostro Paese, se si considerano i tre grandi assi strategici del PNRR, si trova in effetti una conferma solo parziale di quanto appena ricordato: l’allocazione delle risorse derivanti dal fondo europeo fra Transizione ecologica, Transizione digitale e Mezzogiorno equivale rispettivamente a 40%, 27% e 40% (la somma non è 100 in quanto gli assi sono in parte sovrapposti).
Questa semplice constatazione pone sostanzialmente due domande. Da un lato, almeno per il nostro Paese, viene da domandarsi se Next Generation EU sia in buona parte una nuova occasione per provare a risolvere problemi antichi quali lo sviluppo del Sud e la modernizzazione della PA. Se è così si pone il secondo quesito: quanto tempo servirà per perseguire gli obiettivi? Poiché abbiamo memoria dalla nostra storia di incompiute e ritardi strutturali possiamo meglio precisare il vero tema centrale per tutti gli assi strategici, cioè la velocità con cui gli obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica vengono perseguiti.
La velocità nel perseguimento degli obiettivi è centrale anche per un’altra ragione: solo una parte dei finanziamenti europei sono a fondo perduto, una quota non irrilevante è costituita da prestiti. Se gli effetti della realizzazione del PNRR si manifesteranno in tempi rapidi, la ripresa economica sarà effettiva e in grado di permettere alla Nazione di affrontare un problema che rimane in fondo al cassetto, ma non svanisce per incanto: quello del debito pubblico.
Il Recovery Fund, come il MES, esiste a causa dell’anomalia del disegno europeo: da un lato una Federazione di Stati senza capacità impositiva fiscale diretta (dunque con un bilancio complessivo pari all’1% del PIL contro il 50% dei singoli Stati) e dall’altro Nazioni senza la leva della politica monetaria. Di fronte a una crisi come quella dei debiti sovrani è stato necessario, all’inizio dello scorso decennio, costituire il MES e oggi, in corrispondenza della stagnazione delle economie europee e della crisi collegata al Covid-19, è stato varato il recovery plan.
La sostenibilità, anche ambientale, potrà realmente camminare solo se saremo veloci a perseguire gli obiettivi e onesti nel riconoscere la natura e l’origine dei problemi sia all’interno delle singole nazioni, sia nel disegno complessivo delle istituzioni europee.
di Vito Moramarco
Professore ordinario di Politica Economica
Università Cattolica del Sacro cuore Milano
(da CSRoggi Magazine, anno 7, n.1, Gennaio/Febbraio 2022, pag. 8)