«Come CSV Milano, pur avendo solo l’obbligo di redigere il Bilancio Sociale, abbiamo deciso di avventurarci, grazie alla collaborazione con Knowità, nel percorso verso il Bilancio Sociale e di Sostenibilità» sottolinea Marco Pietripaoli, direttore CSV Milano ETS.

 

 

Direttore Pietripaoli, perché a un’azienda deve interessare che un Ente di Terzo settore si doti di un bilancio di sostenibilità?
«Interessa nella misura in cui l’azienda stessa sente come affini i temi della sostenibilità e vuole ricercare partner non profit che concretizzino sul campo, in termini di CSR, tale affinità di vedute e di prassi. E visto che sui tavoli della co-progettazione tra profit e non profit ci si deve trovare a metà strada, anche gli Enti di Terzo settore devono imparare a curare tale rendicontazione e sempre più migliorare, ove non già allenata, tale sensibilità rendicontativa. Perché i nostri Enti sono già predisposti ad avere un approccio attento su questi temi, capiamoci, ma il passo successivo per noi è quello di metterlo nero su bianco, facendo quindi analisi e rendicontazione puntuale e sistematica. E la dimostrazione che sia un processo sì meticoloso, ma ampiamente percorribile viene proprio da ciò che è emerso dal nostro lavoro fatto in tal senso con Knowità. Il materiale da analizzare era già lì, ma serviva – no, in metafora, un paio di occhiali diversi per riconoscerlo organizzarlo, rendicontarlo, affinarne la restituzione».

Ma se questa pratica è così importante, perché non è ancora così diffusa nel non profit? Di cosa hanno timore gli Enti?
«Non parlerei di timore. Nel Terzo settore i bilanci di sostenibilità soffrono dello stesso destino che colpisce i bilanci sociali, cioè il disequilibrio che noi abbiamo tra il momento del “fare” e quello del “rendicontare”. Il fare che sormonta e spesso soffoca il pensarsi e il ripensarsi, insomma. Soprattutto questo capita in quella vastissima selva composta da realtà medio-piccole. E non parlo del non essere capaci o dello snobbare l’argomento. Tutto il non profit e ancora più l’associazionismo è predisposto ad accogliere tali tematiche, oggigiorno. Purtroppo però a quelle “latitudini” le risorse spesso scarseggiano e quindi non è sempre facile togliere i fondi all’azione sul territorio, al “fare” e dirottare quelle poche che ci sono su professionisti che aiutino a rendicontare con tutti i crismi e quindi anche a favorire una più attenta programmazione. Ma è sempre più necessario, soprattutto se si vuole giocare la partita della CSR in collaborazione con le aziende e anche le istituzioni. Come CSV Milano ad esempio, pur avendo solo l’obbligo di redigere il Bilancio Sociale, abbiamo deciso di avventurarci, grazie alla collaborazione con Knowità, nel percorso verso il Bilancio Sociale e di Sostenibilità».

Pandemia, crisi economica perdurante, guerre, instabilità non è tempo quindi per giocare in difesa?
«Non direi proprio, anzi. Perché, pur comprendendo il momento economico sempre così critico e le difficoltà che attanagliano il nostro Settore, non possiamo che ribadire che il vitale e generativo in – contro con il profit si gioca anche su questa direttrice di visione e di costruzione di un linguaggio comune, necessario per fare squadra. Perché il bilancio di sostenibilità è proprio questo: un possibile punto di contatto tra il nostro linguaggio e quello del profit. Quindi, più realtà percorreranno la via del bilancio di sostenibilità più incontreranno partner aziendali per mettere a terra progetti innovativi e dalla grande ricaduta sul territorio, in termini anche ambientali».

Direttore, siamo così in ritardo come Settore o c’è ancora margine per invertire la rotta?
«Margine c’è sempre, per chi ha voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Di certo non siamo i soli comunque a essere un pelo tardivi su questo approccio rendicontativo. Anche nel profit, spesso, le realtà aziendali che si dotano di un bilancio di sostenibilità sono solo quelle che hanno l’obbligo, avendo più di 500 dipendenti, un patrimonio superiore a 20 milioni di euro e ricavi netti superiori a 40 milioni. Tanto quanto da noi è difficile trovare chi lo redige spontaneamente pur non avendo un bilancio inferiore al milione di euro annui, soglia dalla quale scatta l’obbligo per il Terzo settore. Grazie al cielo sembra che nei rispettivi Settori queste soglie, per legge, si abbasseranno mano a mano, ampliando così la platea delle realtà che provenendo da mondi così diversi, ma uniti da questo strategico ‘idioma’, potranno incontrarsi a metà strada, condividendo nella co-progettazione gli stessi valori, stesse metriche, oltre che la stessa vision di presa in cura del presente e del futuro del nostro Ambiente».

di Francesco Bizzini

( da CSRoggi Magazine – n.1 – Anno 9 – Gennaio/Febbraio 2024; pag. 34 )

 

 

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