Insieme ad altre aziende, il Gruppo Entain in Italia sostiene il progetto “Rigiocare il futuro” promosso da “Seconda Chance” e “Sport senza Frontiere”, volto a costituire – in parte anche ex novo – il polo sportivo carcerario più esteso d’Italia. Dove? Nel penitenziario di Secondigliano, a Napoli.

(leggi l’articolo di Luca Palestra qui sotto, oppure da CSRoggi Magazine – n.1 – Anno 10 – Gennaio/Febbraio 2025; pag. 14)

Rigiocare il Futuro – Lo Sport per Ripartire”: questo il nome del progetto promosso dalle realtà del Terzo settore “Seconda Chance” e “Sport senza Frontiere” sostenuto da Fondazione Entain e altre aziende private, con il patrocinio di diversi attori pubblici. Si tratta di un’iniziativa unica nel suo genere, che ha il fine di realizzare – presso il Centro Penitenziario “Pasquale Mandato” di Secondigliano, a Napoli – il più esteso polo sportivo carcerario d’Italia.
Un progetto che si pone un doppio obiettivo: mirare alla riqualificazione degli spazi carcerari ma soprattutto provvedere allo sviluppo di percorsi formativi che favoriscano la crescita personale e professionale dei detenuti, promuovendone il reinserimento sociale.

«Lo sviluppo di un progetto d’impatto come “Rigiocare il Futuro” è una sfida che abbiamo accolto sin da subito con entusiasmo – sottolinea Giuliano Guinci, Public Affairs, Sustainability & Retail Operations Director del Gruppo Entain in Italia -. L’esperienza che abbiamo maturato con il nostro CSR Award, che sostiene da anni progetti di inclusione sociale attraverso lo sport, ci ha fatto capire l’importanza di porre al centro il progetto e di lavorare per la sua realizzazione mettendo a disposizione non solo risorse economiche, ma anche competenze e relazioni».

Dottor Guinci, partiamo dall’inizio. Come nasce l’impegno del Gruppo Entain e in particolare di Fondazione Entain in ambito di CSR legata allo sport?
«Come Gruppo, abbiamo scelto di fondare la nostra strategia di CSR su tematiche chiave, sviluppandole nel tempo in base alle reali esigenze degli utilizzato- ri. Circa quattro anni fa, abbiamo deciso di concentrare il nostro impegno sull’inclusione sociale attraverso lo sport, un ambito che rispecchia profondamente i valori della nostra realtà. Abbiamo quindi iniziato a mappare il territorio per individuare e supportare progetti che utilizzassero lo sport come strumento di inclusione, indipendentemente dalla disciplina. Nel corso degli anni, collaborando con diverse associazioni, non solo abbiamo contribuito alla loro crescita, ma abbiamo anche sviluppato una maggiore consapevolezza che ci consente di individuare le linee di intervento più efficaci su cui investire per il futuro. In questo scenario, le associazioni svolgono un ruolo essenziale nel garantire un accesso equo e inclusivo alla pratica sportiva, con particolare attenzione alle fasce più fragili della popolazione, a cui dedichiamo il nostro sostegno».

Come vi siete mossi, e vi muovete oggi, nella scelta dei progetti da sostenere e dal punto di vista della loro attuazione?
«Abbiamo preso in considerazione due principali fattori: rafforzare sempre di più la collabo- razione tra pubblico, privato e Terzo settore per poter rendere più efficace la forza dei progetti, attraverso l’unione degli investimenti che le aziende e le fondazioni mettono a disposizione e individuare aree del territorio atte a investimenti in infrastrutture sociali in grado di fare da volano a più progetti. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato tanto su queste tematiche, perché dietro la presentazione di ogni progetto c’è in realtà un lavoro molto lungo».

Quindi arrivare a “Rigiocare il Futuro” è stato un percorso del tutto naturale, per voi…
«Sì, “Rigiocare il Futuro” è un tipico esempio di questo genere di interventi, che ha al centro un’infrastruttura sportiva che, in questo specifico caso, è all’interno di un penitenziario. E attorno a questa si potrà sviluppare tutto un mondo di corsi formativi, caratterizzati da un forte orientamento verso il reinserimento professionale di molti detenuti nel carcere di Secondigliano. Il progetto nasce con un impianto piuttosto complesso – sia per dimensione economica sia per capacità d’impatto – ed è stato impostato e sarà gestito insieme ad altre realtà pubbliche, private e del Terzo Settore. Siamo del tutto convinti che lavorare insieme ad altre aziende o ad altre istituzioni, possibilmente associazioni, contribuisca a rafforzare molto il messaggio che si vuole inviare».

Come siete arrivati a Secondigliano? Qual è stato e qual è ancor oggi il vostro impegno, il vostro ruolo nella creazione di questo progetto?
«Ci siamo arrivati tramite la richiesta di “Seconda Chance”, associazione del Terzo settore che si occupa su tutto il territorio nazionale di reinserimento lavorativo dei detenuti. Ci hanno proposto di visitare il carcere napoletano perché al suo interno era appena stato ristrutturato un campo da pallacanestro, grazie all’interessamento della Federazione Italiana del Basket, ma c’erano ancora delle aree trascurate, che potevano far nascere un’idea. E l’idea, dopo l’incontro con la direzione del carcere e “Seconda Chance”, è stata quella di far diventare quell’area la più importante cittadella sportiva all’interno di un penitenziario in Italia, riqualificando il vecchio campo da calcio e costruendo due nuovi campi da padel. Siamo partiti con i primi sopralluoghi, portando gli architetti all’interno del carcere, per consentire la stesura di un capitolato puntuale, così da capire quale potesse essere l’ingombro complessivo. Abbiamo lavorato al partenariato coinvolgendo le altre associazioni, prima fra tutte “Sport Senza Frontiere” per la parte che farà seguito all’inaugurazione del centro sportivo, che riguarderà l’erogazione di corsi di formazione a questo collegati ma anche ad altri soggetti privati e attori istituzionali come Comune e Regione e tutti quelli collegati al mondo dello sport».

Un progetto, quindi che non si esaurirà con l’ultimazione dei campi da gioco previsti. Il tutto, comunque, in nome dello sport. Voi che operate in questo settore, quale importanza date allo sport come volano sociale?
«Dal nostro punto di vista, la salute dello sport rappresenta un indicatore chiave della salute di un Paese. Il riconoscimento del valore dello sport nella Costituzione Italiana ci pone all’avanguardia sotto il profilo normativo, ma siamo ancora in ritardo sul fronte degli investimenti, soprattutto nelle infrastrutture. Non si tratta di una mancanza di volontà, ma piuttosto di una tendenza consolidata a destinare le risorse ad altri settori. Tuttavia, questa situazione apre un’enorme opportunità per il settore privato, in particolare per quelle aziende che hanno lo sport al centro della loro mission. Il coinvolgimento dei privati negli investimenti in infrastrutture sportive non solo potrebbe contribuire a colmare il gap esistente, ma anche rendere il sistema più sostenibile, generando benefici tangibili per la collettività».

Il vostro impegno, però, riguarda in particolare le infrastrutture sociali, come quella di Secondigliano…
«Sì, in questo momento ci occupiamo soprattutto di infrastrutture sociali, che faticano maggiormente a trovare risorse perché offrono meno possibilità di ottenere un ritorno economico. Quando si parla di sport dilettantistico o di sport orientato all’inclusione sociale, il ritorno economico può essere inesistente, ma l’impatto sulla socialità è estremamente significativo. E quindi c’è bisogno di costituire reti di partner che possano lavorare insieme alle istituzioni nei vari contesti territoriali che ne hanno necessità. In questo caso abbiamo scelto Napoli ma non ci fermiamo qui, stiamo già lavorando a ulteriori progetti in altre parti d’Italia».

Sono tutti progetti che porterete avanti nel tempo?
«Certo, l’obiettivo che ci siamo posti è quello di intervenire con continuità, a prescindere dalla singola operazione. Precedente- mente il trend generale consisteva nell’elargire piccoli contributi spot, slegati tra loro e non necessariamente finalizzati a portare a termine un progetto protratto nel tempo. Negli anni, abbiamo realizzato che l’unico modo per offrire un vero supporto alle associazioni con cui ci troviamo volta per volta a collaborare è quello di garantire loro un orizzonte temporale più lungo, tale da consentirne l’autosostenibilità».

Siete dunque esperti di rapporti con le entità del Terzo settore. Quale rispondenza trovate in loro? Son più trascinate o trascinatrici?
«Le realtà che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo collaborato stanno facendo tutte un lavoro eccezionale e sono portatrici di progetti davvero interessanti e importanti. Ci siamo accorti che quando l’asticella si alza, come difficoltà di realizzazione dei progetti da mettere in atto, il Terzo settore mostra tutti i suoi limiti, collegati tendenzialmente al fatto che ci sono dei gap sul lato economico e sulla quantità delle risorse da mettere in campo. Quando l’orizzonte temporale e territoriale diviene più ampio è importante avere alle spalle una macchina organizzativa che funzioni e che sia in grado di fornire forza e assistenza protratta nel tempo per evitare che alle prime difficoltà si perdano i benefici fino a quel momento conquistati con lavoro e dedizione».

Quindi il rapporto privati ed enti del Terzo settore deve essere sempre più valorizzato?
«Questo rapporto deve essere sempre più valorizzato, perché solo attraverso un dialogo continuo è possibile costruire progetti realmente efficaci e sostenibili nel tempo. Le aziende possono mettere a disposizione le proprie competenze, ma affinché l’impatto sia significativo, è fondamentale che il Terzo settore sia strutturato in modo adeguato. Oggi, infatti, un’organizzazione che non investe in determinati ambiti rischia di avere difficoltà e un orizzonte temporale molto limitato. Per questo, è essenziale puntare su un coordinamento più stretto e una pianificazione di lungo periodo, così da identificare le aree più bisognose e allocare le risorse in modo strategico».

Entain e BSC Rovigo, Entain Blind Day

Per chiudere e riassumere, dottor Guinci, qual è il vostro obiettivo ultimo per quanto riguarda gli aspetti più strettamente legati alla sostenibilità?
«Il nostro obiettivo è restituire ai territori una parte della ricchezza che generiamo, trasformandola in valore concreto. Il territorio è infatti il fulcro della nostra strategia ESG e, da questa visione nasce il nostro CSR Award, che rappresenta un impegno concreto per rendere lo sport un motore di crescita e integrazione nel nostro Paese. Ogni anno ci poniamo sfide sempre più ambiziose per massimizzare l’impatto dei progetti sui territori, affrontando le contraddizioni del nostro tempo e concentrandoci su temi cruciali come le infrastrutture sociali e il valore della collaborazione tra settore profit e non profit.

Crediamo che le aziende abbiano la responsabilità di prendersi cura del territorio, perché è proprio lì che si possono tradurre in azioni concrete i principi della sostenibilità sociale e ambientale. È essenziale investire affinché ogni comunità possa disporre di infrastrutture adeguate, moderne, sicure e accessibili, permettendo alle associazioni di portare avanti i loro programmi con continuità e in sinergia tra loro. La collaborazione tra diversi attori è la chiave per abbattere le barriere ancora esistenti e realizzare progetti sociali realmente sostenibili, capaci di generare un impatto positivo duraturo sulla società e sui territori».

(6 marzo 2025)

(da CSRoggi Magazine – n.1 – Anno 10 – Gennaio/Febbraio 2025; pag. 14)

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