La proposta di aggiungere un diciottesimo goal di sviluppo sostenibile intende rimettere al centro il valore strategico della comunicazione e combatterne le distorsioni: una sfida che può aiutare a innescare quell’impegno corale che ancora oggi manca per fronteggiare crisi climatica e ingiustizie sociali.

“Nella comunità internazionale, nell’Unione europea, nelle istituzioni nazionali, nella società italiana, nelle nostre imprese, non tutti pensano che l’Agenda 2030 sia la bussola da seguire, al di là delle dichiarazioni di facciata. Le resistenze esistono e sono di natura culturale, politica ed economica, e la battaglia contro la sostenibilità si combatte in modo lecito e in modo meno lecito attraverso la diffusione di informazioni intenzionalmente distorte, che alimentano negazionismi ed egoismi di varia natura”.

Enrico Giovannini, Direttore Scientifico ASViS

 

Sergio Vazzoler

Nel corso della presentazione dell’ultimo Rapporto Annuale dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, il passaggio qui riportato della relazione del Prof. Giovannini conferma la necessità, strategica e al contempo urgente, di accompagnare il faticoso e sempre più impervio percorso dell’Agenda 2030 con una comunicazione responsabile. Ed è proprio qui che si colloca la sfida lanciata da Global Alliance giusto un anno fa, con la proposta rilanciata da FERPI in Italia di integrare i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile con un diciottesimo goal dedicato proprio alla comunicazione responsabile.

Una proposta, meglio specificarlo subito, che si accompagna da un interessante paradosso: se è onestamente assai improbabile vederne la realizzazione, almeno nel medio termine, è altrettanto vero e lo è già oggi che la sua diffusione nelle organizzazioni pubbliche e private e, parallelamente, nella società, può rappresentare un decisivo aiuto per superare le crescenti difficoltà che l’Agenda 2030 incontra nel suo cammino.

I negazionismi e gli egoismi di cui parla Giovannini, sono infatti il risultato di una “infodemia” costantemente alimentata da chi ha interesse a far salire una coltre di nebbia intorno al concetto di sostenibilità trasformativa, quella cioè che nulla ha a che fare con le scorciatoie verde smeraldo del greenwashing. Ma che è in grado di percorrere la strada più tortuosa e faticosa per coinvolgere l’intera società in un processo di cambiamento, radicale seppur progressivo, finalizzato ad affrontare le enormi sfide della crisi climatica e delle ingiustizie sociali ma altresì capace di trasformare i segni meno in segni più in termini di equità, sviluppo e benessere.

Agire, misurare e poi comunicare: è davvero così?
Ma se la pandemia informativa è nemica della sostenibilità trasformativa, come si fa a pensare e credere che proprio la comunicazione possa rappresentare l’anello mancante dell’Agenda 2030? Domanda legittima e che trova sempre più adepti pronti a denigrare il valore della comunicazione, equiparandola a un’arma di distrazione di massa rispetto alla concretezza degli indicatori ESG, delle misure quantitative, delle certificazioni e delle analisi del ciclo di vita di prodotti e processi.

“Agire, misurare e poi comunicare” sta diventando il nuovo mantra di chi, consapevolmente o meno, è convinto che la comunicazione sia la foto di laurea sostenibile che si può scattare solo al termine del lungo percorso di studi ESG e del conseguimento di risultati tangibili. Guai, in questa fase di maturità della responsabilità sociale d’impresa, ad anteporre gli aspetti comunicativi a quelli dell’azione e della pianificazione: si diventerebbe immediatamente un greenwasher da condannare senza appello a mezzo stampa o social, compromettendo così la reputazione tanto del percorso di sostenibilità quanto dell’organizzazione stessa.

Forse alla base di questo equivoco c’è una distorsione crescente del significato di “comunicazione”. Un esempio “altro” ci può aiutare: nel dibattito intorno alla gestione dei rifiuti si è, infatti, progressivamente storpiato il significato di “zero waste”, originariamente inteso come “zero sprechi” e poi trasformato nell’ideale irrealistico dello “zero rifiuti”, allontanando così il dibattito pubblico dalle possibili soluzioni da mettere in campo per ridurre gli (enormi) sprechi lungo la catena produttiva e distributiva. Ecco, assai simil mente, la comunicazione ha visto smarrire il suo significato originale di “mettere in comune” in quanto le declinazioni settoriali, ben più impattanti e rumorose, l’hanno schiacciata e inglobata: si pensi alla forza totalizzante della comunicazione commerciale, digitale o politica, con i loro strascichi di polemiche quotidiane. Quante volte abbiamo ascoltato leader politici affermare che “la comunicazione politica ha ormai sostituito la politica”, confondendo la propaganda con la cura della relazione?

Per non parlare dell’equiparazione della comunicazione digitale con la battaglia tra haters. E dunque anche per la comunicazione nell’ambito della sostenibilità la sua applicazione distorta ha portato ora alla reazione di chi la vede come una minaccia per la credibilità dei percorsi ESG. E, di conseguenza, a marginalizzarla se non a evitarla nelle fasi di pianificazione strategica.

Ma così facendo si rischia di ottenere l’effetto contrario. Le sfide della transizione ecologica e dello sviluppo sostenibile, lo sappiamo bene, non sono a costo zero, comportano uno sforzo collettivo che può essere ottenuto soltanto se tutti, nelle organizzazioni come nella società, remano nella stessa direzione e come ricorda il collega Matteo Colle (cfr. pag. 14) “se ognuno di noi riesce a trovare un ruolo e un senso” rispetto alla sfida ecologica e sociale da affrontare. E per riuscirci non c’è altro modo che investire nella comunicazione trasparente, autentica, coraggiosa e, appunto, responsabile.

La comunicazione responsabile in vista della COP28
Nelle pagine seguenti si trovano le motivazioni che hanno spinto Global Alliance e FERPI a mettere al centro il ruolo della comunicazione responsabile e i tanti contributi emersi nel corso del primo Forum della Buona Comunicazione, svoltosi a Ecomondo lo scorso 10 novembre. Qui è intervenuto Francesco Corvaro, inviato speciale per i cambiamenti climatici del Ministero degli Affari Esteri e del Ministero dell’Ambiente, che ha evidenziato il ruolo della comunicazione responsabile in vista della COP28: «è la chiave che apre le porte della consapevolezza condivisa, che dà la spinta a chi si siede attorno ai tavoli ad affrontare concretamente i problemi con responsabilità. Per questo la comunicazione è un argomento decisivo e può incidere molto più di quello che si possa pensare». Parole che spiegano bene il valore di un diciottesimo goal per l’Agenda 2030.

GENESI E MOTIVIAZIONI PER IL 18° SDG NELL’AGENDA 2030
Nell’ottobre del 2022, Global Alliance la confederazione delle principali associazioni e istituzioni mondiali di gestione delle relazioni pubbliche e della comunicazione, che rappresenta oltre 360mila professionisti e accademici di 126 Paesi in tutto il mondo ha lanciato una open call ai professionisti delle PR per supportare la creazione di un nuovo obiettivo di sviluppo sostenibile attorno al concetto di “comunicazione responsabile”. Ad oggi sono più di 100 le associazioni e federazioni nazionali, così come le singole firme e agenzie, che hanno aderito alla call to action. A circa un anno di distanza, l’iniziativa si è concretizzata nell’invio di una lettera ufficiale a firma di Justin Green, presidente e CEO di Global Alliance, che ha invitato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, a considerare l’inclusione del 18° SDG sulla comunicazione responsabile nell’Agenda 2030.

Ma quali sono le considerazioni dalle quali è partita Global Alliance per proporre questo nuovo obiettivo? E qual è il perimetro entro cui si iscrive la comunicazione responsabile? Partiamo dalle considerazioni preliminari. Le fake news e una comunicazione distorta sono diventate una minaccia per la convivenza delle persone e delle comunità. Un monito confermato da molte ricerche che hanno dimostrato scientificamente che, per esempio sui social network, le bugie circolano più velocemente e pervasivamente delle verità, con effetti anche molto concreti sulla tenuta del tessuto sociale. Le verità documentate rigorosamente sono più complesse da maneggiare.

Da qui deriva il richiamo a una comunicazione responsabile che sia capace di gestire e veicolare questa complessità e che sia in grado di preservare la verità fattuale e suffragata da dati.

Come Global Alliance descrive la comunicazione responsabile?

  • Si fonda su un dialogo aperto sulle sfide globali, che riguardano il cambiamento climatico, la riduzione della povertà e la promozione della democrazia. Considera il dialogo come l’arma più potente in grado di garantire e preservare libertà di opinione e di stampa;
  • si richiama a un approccio etico di rispetto della verità dei fatti. E come tale rappresenta lo strumento migliore per combattere ogni forma di fake news e di propaganda;
  • semplifica le complessità e svolge un ruolo educativo verso le persone, invitandole a utilizzare responsabilmente i propri “poteri comunicativi”, soprattutto attraverso i social media;
  • sostiene un giornalismo rigoroso, promuove l’uguaglianza di diritti e opportunità fra i generi, mostra una sincera empatia verso chi soffre la fame, la povertà, la mancanza di opportunità, la guerra, le migrazioni forzate e la discriminazione;
  • fa suo un linguaggio positivo e inclusivo.

L’obiettivo di Global Alliance è ambizioso. Ma è tanto più prezioso e importante se si considerano le sfide che abbiamo di fronte: serve il contributo di ciascuno per vincerle e una comunicazione responsabile può svolgere un ruolo indispensabile nell’informare, coinvolgere e “portare a bordo” quante più persone possibile.

di Sergio Vazzoler
Partner Amapola,
Coordinatore Commissione FERPI “Comunicazione Responsabile

(da CSRoggi Magazine – Anno 8 – n.5 – Novembre/Dicembre 2023; pag. 4)

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