È la «rivoluzione verde» dell’Eni: meno petrolio, più energie rinnovabili e gas naturale. Con l’impegno dichiarato di abbattere dell’8o% entro il 2050 tutte le emissioni di gas serra riconducibili alla sua attività e a tutti i prodotti venduti ai clienti, dalla benzina e dal gasolio fino all’elettricità e alla chimica. L’ambizione — poi si tratterà di verificarne la realizzazione — è di mettersi alla testa del plotoncino delle compagnie petrolifere che hanno preso sul serio la strada della «transizione energetica» e del rispetto degli obiettivi climatici di Parigi 2015.

Il gruppo guidato da Claudio Descalzi—il manager è in piena corsa per il terzo triennio come chief executive nella partita dei rinnovi — ha riformulato ieri la sua strategia di lungo periodo, alla quale dovrà seguire anche una riorganizzazione della struttura operativa da definire entro l’anno. Se l’obiettivo è trentennale, le tappe paiono ben scandite. La prima è a suo modo storica: entro il 2025 l’Eni raggiungerà il «picco» della sua produzione di petrolio e gas, che poi scenderà e sarà composta sempre più da gas.

Di qui ad allora dovrebbe fare in tempo a superare la tanto agognata e mai raggiunta soglia dei 2 milioni di barili estratti al giorno, arrivando addirittura a 2,3 milioni. Ma, dopo, la quota di petrolio scenderà a favore del gas: dal rapporto 51-49 di oggi al 40- 60 del 2030 fino al 15-85 del 2050. Quanto ad effetti sull’ambiente, il gas è molto più «amichevole» del petrolio, visto che a parità di energia emette un terzo di CO2 in meno.

L’Eni, insomma, diventerà più una gas che una oil-company e cercherà anche di evi tare i costi della transizione «verde» (gli stranded costs) incassando entro il 2035 il valore di quasi tutte le riserve di idrocarburi in portafoglio. Ma non solo: oltre a portare a zero entro il 2040 tutte le emissioni dirette e indirette (in gergo scope-1 e scope-2, mentre il più ampio obiettivo al 2050 si chiama scope-3) e all’impegno di vendere solo combustibili bio (e anche ad azzerare in tre anni l’utilizzo di olio di palma nelle bio-raffinerie), l’Eni intende crescere nella produzione di elettricità con fonti rinnovabili.

Anche qui con obiettivi ambiziosi: dalle poche centinaia di Megawatt installati oggi ai 5 Gigawatt nel 2025, che diventeranno 15 nel 2030 e 55 entro il 2050. Se si vuole un termine di paragone, attualmente l’Enel conta su circa 90 Gigawatt di capacità, di cui più di metà rinnovabili. Ci sarà spazio anche per il rilancio dell’area di Ravenna, storica presenza dell’Eni: per rendere sostenibili le sue produzioni gas il gruppo avvierà anche progetti di conservazione delle foreste e di «cattura» della CO2 per più di 40 milioni di tonnellate l’anno, e la città adriatica sarà l’hub per l’Italia. A Ravenna si sta già studiando la possibilità di convogliare nei giacimenti a gas ormai esauriti dell’offshore la CO2 catturata dagli insediamenti industriali e di generazione elettrica.

Se il futuro sembra così avviato, restano però i piani del presente. Nel quadriennio al 2023 il gruppo intende investire 32 miliardi di euro e portare a n milioni i propri clienti retail. Il 2019 appena terminato è stato un anno difficile, sia per le complicazioni geopolitiche (in Libia resta il blocco della produzione) sia per il calo del prezzo del petrolio, che ha causato un calo a 2,88 miliardi (-37%) dell’utile netto comparabile, mentre la cedola è di 0,86 centesimi per azione (0,89 per il 2020).

Infine è arrivato anche il coronavirus. La presentazione della «rivoluzione verde» e dei conti è avvenuta rigorosamente in streaming, mentre il quartier generale di Metanopoli è praticamente deserto e 6.700 dipendenti lavorano da casa in modalità «smart working».

 

Stefano Agnoli

(da Corriere della Sera del 29 febbraio 2020)

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