Il decreto legislativo 254/2016, in attuazione della direttiva 2014/95/UE, introduce nel nostro ordinamento l’obbligo per determinati enti di redigere per ogni esercizio finanziario una dichiarazione di carattere non finanziario volta ad “assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta”, avente a oggetto temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
Gli enti in tal senso obbligati sono gli “enti di interesse pubblico” indicati all’art. 16 del decreto legislativo 39/2010. Tra queste si annoverano le banche e le assicurazioni che superino il limite dimensionale di 500 dipendenti e 20 milioni di euro come totale dello stato patrimoniale o 40 milioni di euro come totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni. La normativa europea è stata dettata in considerazione del riconoscimento che “la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un’economia globale sostenibile, coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell’ambiente”. (Centro Studi Forense).
All’interno di questa cornice, molte rilevanti società italiane hanno dovuto allargare il perimetro della propria attività di redazione bilancistica a questo nuovo documento, certamente di natura differente e complementare alla tradizionale nota integrativa o alla stessa relazione al bilancio.
Si tratta infatti di un prodotto che si concentra prioritariamente sull’analisi di alcune informazioni caratterizzanti il modello organizzativo aziendale. Si pensi, ad esempio, al livello di emissioni inquinanti, alle politiche di welfare aziendale, ai programmi di selezione e formazione del personale, all’interazione sociale con il territorio, ai protocolli di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, alle ricadute positive di un modello di business per il sistema Paese oppure ai sistemi di protezione dei dati sensibili interni e dei propri clienti o fornitori.
Tale processo rappresenta dunque una preziosa occasione per il management di un’impresa di porsi una domanda profonda sull’identità della propria organizzazione. Analizzando i molti ambiti dell’attività aziendale è portato a far emergere i punti di forza e di miglioramento che lo aiuteranno anche nel tracciare le strategie future. Gli stessi mercati finanziari, e dunque i potenziali investitori in un caso di società in fase di quotazione, valutano con multipli maggiorati quelle società che riescono a rappresentare pienamente il proprio potenziale nella Dichiarazione a carattere non finanziario.
E comunque, la DNF costituisce una presentazione molto più fruibile anche per chi – come gli stessi dipendenti o la comunità di un territorio – volesse approfondire i contorni salienti di una specifica azienda. In tal senso, la Dichiarazione a carattere non finanziario costituisce uno strumento non prettamente burocratico e compilativo, ma può divenire – se preso sul serio – uno strumento di accelerazione del cambiamento e della crescita di un’impresa.
di Lorenzo Malagola
Responsabile delle relazioni istituzionali per il gruppo ICBPI/CartaSi