Si fa presto a dire «basta plastica!». È indubbio che questo sia il materiale più demonizzato dei nostri giorni, quello che giace per anni e anni nelle nostre discariche, che sta soffocando i nostri mari, che rischia di far collassare l’intero ecosistema terrestre.

Il mantra del momento è: “Dobbiamo, possiamo fare a meno della plastica”. Il che dovrebbe tradursi, per i cittadini di tutto il mondo, nella riduzione dell’uso degli oggetti costituiti da questo materiale. Oggi va molto di moda e fa anche figo dire che non si usano più i bicchierini di plastica, le cannucce, i piatti da campeggio, le posate usa e getta, eccetera, eccetera.

Ed è giusto che sia così, perché tutto questo materiale monouso, utilizzato e gettato con costanza nella spazzatura dall’intera popolazione mondiale rappresenta un problema che richiede già oggi la massima attenzione di tutti, nessuno escluso.

Dal lato cittadini, dunque, il discorso non fa una grinza.

Il problema sorge se lo si guarda da un’altra prospettiva, quella del mondo produttivo ed economico.

Secondo il report Plastics-TheFacts – commissionato periodicamente dai produttori europei di materie plastiche – il comparto che si occupa di materie plastiche, nei 28 Paesi dell’Unione Europea, è fondato sull’attività di circa 60mila aziende. I dati sono del 2016, ma non per questo non sono da considerarsi attendibili: il giro d’affari si aggira attorno ai 350 miliardi di euro, con un attivo complessivo di circa 15 miliardi di euro tra produzione (9.700 miliardi) e trasformazione di plastiche (5.200 miliardi). Il tutto per una produzione, a livello europeo, di 60 milioni di tonnellate, 2 in più rispetto al 2015 ma anche 5 in meno rispetto al 2007, anno in cui la produzione di plastica ha toccato il suo massimo assoluto. In Italia ogni anno se ne utilizzano circa 7 milioni di tonnellate, più di noi solo la Germania che ha un fabbisogno annuale di 12 milioni di tonnellate.

Poco male, si potrebbe dire, una ragione di più per dire basta con questa plastica, è ora che gli industriali la finiscano di arricchirsi a scapito della nostra salute.

Ma la questione non è così semplice, ci sono alcuni aspetti che non possono esser tralasciati.

Molte tra le realtà produttive che si occupano di materie plastiche, tanto per cominciare, sono piccole e medie aziende che sopravvivono faticosamente grazie alla loro infinitesima partecipazione a questo specifico sistema produttivo. Da non tralasciare è anche il fatto che il comparto europeo della plastica procura un posto di lavoro a oltre 1,5 milioni di persone. È come se gli abitanti di Milano e di parte del suo hinterland ogni giorno lavorassero tutti quanti per produrre, trasformare o riciclare oggetti di plastica.

Infine, sempre in base al report citato, è da sottolineare che l’intero settore contribuisce con 30 miliardi di euro a rimpinguare le finanze pubbliche e a sovvenzionare le politiche di welfare dei vari Paesi dell’UE. Per tutto questo, accanto ai buoni e legittimi propositi dei cittadini è necessario che la politica, gli amministratori, la finanza, le organizzazioni industriali sappiano fare in modo che le scelte virtuose di alcuni non si trasformino in disgrazie per altri. Incentivazione al riciclo, sgravi fiscali per chi sceglie di convertire la propria produzione, aiuti ai lavoratori più sfortunati sono solo alcune delle azioni che non possono mancare nelle agende di tutti quei governanti, inteso in senso quanto più esteso possibile, che hanno davvero a cuore il destino del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Così che un giorno si possa davvero dire, senza tentennamenti: “Basta con tutta questa plastica!”

(da CSRoggi Magazine, anno 4, n.4, Ottobre 2019, pag. 42)

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