Un’avventura che è iniziata dall’amore smisurato per il legno. Tutto è nato da un’intuizione di Mauro Saviola, fondatore del Gruppo che oggi porta il suo nome, che nel 1963 fondò la sua azienda di produzione di pannelli in truciolare perseguendo un’idea che dopo tutti questi anni risulta essere pienamente realizzata, visto che Saviola è oggi il più importante processore al mondo di legno post-consumo. Una filosofia di produzione basata su concetti come recycling e upcycling, che prevede il recupero e il riutilizzo di rifiuti che in questo modo ritrovano una seconda vita. Il tutto senza che vi sia bisogno di abbattere alcun albero, in un processo del tutto sostenibile sia dal punto di vista economico sia da quello ecologico.
Parliamo di passato ma soprattutto presente e futuro dell’azienda con Alessandro Saviola, primogenito di Mauro, presidente di Saviola Holding.
Dottor Saviola, come avvenne il passaggio dall’utilizzo del legno verde a quello “di scarto”? Fu una idea dettata unicamente da motivazioni di economicità o ci fu una vera visione di cambiamento di paradigma di riferimento nell’avvio di processi di Economia Circolare?
«La scelta che oggi ci vede protagonisti nel panorama del mondo del riciclo e, in particolare, nel settore del legno è stata frutto dell’intuizione tenace di mio padre Mauro, che ha fondato l’azienda nel 1963 e verso la fine degli anni Ottanta ha iniziato con alcuni collaboratori a lavorare per questa “rivoluzione” che ha portato alla nascita del pannello ecologico. Siamo partiti da un’esigenza economica, e quindi da un problema di competitività nei confronti dei Paesi del Nord Europa, ma subito dopo abbiamo capito che economia ed ecologia erano e sono lati della stessa medaglia. Grazie a una scelta che inizialmente è stata prettamente economica siamo riusciti a salvare milioni di alberi attraverso il nostro processo produttivo che rigenera ogni anno circa 1.5 milioni di tonnellate di legno post-consumo. Il passaggio al riciclo ha dato un contributo positivo in termini di competitività accompagnata a un forte contenuto green a favore dell’ambiente».
Dall’ideazione alla realizzazione: come sono avvenute le conquiste industriali davanti a una innovazione così decisamente importante e che non aveva a quel tempo alcun know-how di questo tipo di trasformazione? Come avvenne la realizzazione dei macchinari a quel tempo? I processi industriali che sono stati avviati che impatto hanno avuto sul mercato, trattandosi di utilizzo di legno scartato e riusato?
«Quando abbiamo fatto questa scelta forte, alla fine degli anni ’80, la conversione verso il legno riciclato non era scontata. Ricordo in particolare lo scoramento dei tecnici per i problemi produttivi legati all’utilizzo di un materiale di scarto e dei commerciali perché il nostro prodotto presentava delle criticità e sul mercato si rilevava all’inizio una certa diffidenza. Il coraggio e l’insistenza di mio padre ai tempi sono state le chiavi di svolta e ci hanno consentito di migliorare le performance, andare avanti nel nostro percorso di conversione e raggiungere il nostro obbiettivo in pochi anni, anticipando i tempi e trasformandoci in pionieri in questo campo. Lo sviluppo di una tecnologia per la pulizia del legno ci permette di trasformare il legno usato come mobili, pallet, cassette della frutta. L’altra svolta è stata istituzionale, quando il decreto Ronchi dal 1996 ha dato corpo allo sviluppo dell’intera filiera, permettendo anche ai nostri concorrenti di seguire il nostro esempio. Oggi possiamo dire con orgoglio che questo processo di economia circolare è nato in Italia, e che il nostro Paese è il primo riciclatore di legno al mondo con circa con 3,5 milioni di tonnellate all’anno».
Il Vostro claim è “Aiutaci a salvare gli alberi”. Come applicate questo vostro proposito?
«Siamo partiti dal messaggio coniato da mio padre: “Aiutateci a salvare gli alberi” che vediamo applicato sulle livree dei nostri automezzi che trasportano legno post-consumo (la nostra unica materia prima) oppure il pannello ecologico grezzo e nobilitato (che è il nostro prodotto finito). Oggi con la nuova campagna di comunicazione “Nuova Vita” vogliamo affermare che un nuovo modello è possibile e che lo scarto si ritrasforma in materia prima grazie al nostro processo di upcycling. Oltre al riciclo puntiamo anche su design e valore del prodotto. L’obiettivo della nostra campagna è quello di far comprendere alle comunità che un rifiuto può essere un’opportunità e non più un problema. Con una scelta di consumo consapevole possiamo arredare le nostre case e i nostri uffici con mobili green che derivano da economia circolare».
La vostra attività è molto legata al territorio, ci può parlare delle relazioni con gli stakeholder esterni e interni?
«La relazione con il territorio è fondamentale: a Viadana, dove l’azienda è nata, così come in tutti i 14 territori dove l’azienda è presente con i suoi stabilimenti. Abbiamo calcolato che negli ultimi 3 anni abbiamo stipulato partnership con oltre 150 soggetti nell’ambito culturale, sociale, sportivo, istituzionale e ambientale. La vita aziendale è fatta di relazioni sempre più solide».
I vostri prodotti sono certificati. Realizzate una misurazione d’Impatto sulle attività della fabbrica?
«La nostra azienda ha da sempre un DNA green, che si rifà alla tradizione contadina della terra in cui siamo nati, in cui tutto si può riutilizzare e nulla viene sprecato. Abbiamo puntato sulle certificazioni di sistema e di prodotto. Dopo quasi 60 anni di storia, l’azienda nel 2019 ha presentato il primo bilancio di sostenibilità con il coinvolgimento di 50 funzioni aziendali e 50 stakeholders. Parallelamente abbiamo istituito un Comitato ESG che opera con l’obiettivo di promuovere il miglioramento continuo nel campo della sostenibilità, con nuove iniziative. Ci poniamo sulla cresta dell’innovazione con obiettivi sempre più sfidanti nel campo della sostenibilità e della responsabilità sociale esattamente come si fa con la parte economica e finanziaria».
Avete posizionato raccoglitori in molte città per i rifornimenti di legno. Quali relazioni avete intessuto con gli Enti pubblici? È stata pensata una forma di comunicazione condivisa per la raccolta del materiale?
«La peculiarità del nostro processo è costituita dal nostro network di raccolta caratterizzato da centri Ecolegno. Si tratta di piattaforme di nostra proprietà perché per poter produrre con legno riciclato occorre prima raccoglierlo non nelle foreste naturali, ma nelle foreste urbane, dove il legno post-consumo viene dismesso. In 30 anni di storia abbiamo creato il più grande network di raccolta del legno al mondo, composto da oltre 20 centri di raccolta, più di 5mila convenzioni con le municipalità, oltre 3mila container depositati sul territorio nazionale, che svolgono un servizio per la comunità recuperando questi scarti e trasformandoli in una “nuova materia prima”».
Pensando all’attuale momento e agli obiettivi dell’agenda 2030, con quale impatto la crisi sta investendo l’attività di Saviola? Quali problemi ha posto e quali obiettivi ritenete raggiungibili nei prossimi tre anni?
«Certamente un’idea è quella di esportare il nostro modello di business in altri Paesi nel mondo. Il sogno sarebbe portarlo negli USA dove ancora tutti i produttori utilizzano materia prima vergine. Però questo progetto è ancora sulla carta e ha tempi di sviluppo più lunghi. Per essere più concreti e pragmatici siamo partiti dall’Europa acquisendo una azienda tedesca, Rheinspan, vicino a Francoforte, che produce pannelli truciolari e che aveva iniziato il percorso verso il riciclo. Il nostro obiettivo è di riconvertirla completamente all’utilizzo di legno post-consumo. Ovviamente, ci sono aspetti culturali e normativi che in Germania bisogna superare – perché va ricordato che l’Italia in questo senso è più avanti –, ma siamo convinti che riusciremo nel nostro intento».
Saviola è tra le imprese capostipiti dell’economia circolare: ha qualche consiglio da dare per chi si incammina sul terreno del riuso? Ci sono solo problemi di tipo tecnico-industriale o è indispensabile avere ben presenti altri aspetti?
«La sostenibilità è in questo momento una strada che molte aziende hanno intrapreso o stanno cercando di intraprendere. C’è chi come noi è partito prima che i temi di CRS diventassero un trend e c’è chi si sta attrezzando ora verso una conversione in chiave ecologica degli impianti. Più che un consiglio ai colleghi imprenditori che certamente hanno ben in mente quali sono le linee di sviluppo su cui puntare, vorrei che il mio messaggio in chiusura di questa intervista fosse rivolto alle istituzioni che stanno gestendo anche i risvolti legati al PNRR e alle risorse dedicate alla transizione ecologica. L’aiuto più grande che si può dare alle imprese, oggi, riguarda lo snellimento della burocrazia che ancora costituisce un ostacolo nel nostro Paese e allo stesso tempo il valorizzare la capacità di fare delle imprese nel trovare soluzioni sempre più green».
a cura di Bruno Calchera
(da CSRoggi Magazine – Anno 7 – n.5/6– Dicembre 2022; pag. 8)