Il punto del Direttore

 

 

 

Cambiano i tempi, le regole…quante soprese!
Le novità introdotte dalla Commissione Europea con il CSRD presenta luci e ombre.
Le direttive sono abbastanza chiare, però quante realtà economiche si potranno attenere alle nuove regole?
Gli standard per le PMI e le grandi aziende quando saranno introdotti (da parte dello European Finacial Reporting Advisory Group – EFRAG)?

A) Non c’è solo l’ampliamento dei soggetti che dovranno redigere un Report di sostenibilità;
B) E’ particolarmente estesa la lista dei contenuti della comunicazione: (qui consiglio la lettura integrale del testo dell’UE). Mi limito a poche osservazioni:

  • Non sarà semplice indicare “la resilienza ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità ed anche i piani d’impresa che favoriscono la transizione ambientale” Gli attuali Reporting davanti alla parola rischio sembra si fermino, se non affermare un superamento. Poca trasparenza.
  • La doppia materialità”: la specifica di come i fattori di sostenibilità influenzano sia lo sviluppo e le performance (inside-outside), sia come l’attività aziendale impatta sulla società e sull’ambiente (inside-out)”.
  • “la tassonomia green” prevede approfondimenti.

Il tema è il Reporting rinnovato.  La sua ricaduta immediata tocca la Comunicazione diffusa e mirata.
Non vi sarà più un bilancio economico ed una DNF: entrambi saranno contenuti in un unico documento. Questa decisione finale introduce una ulteriore complessità: non si potranno fare due documenti, che hanno struttura specifica e diversa. Un unico documento che, naturalmente, dovrà essere Integrato.

Un cambio di scenario.
Un tweet recente di Sergio Scalpelli mi ha incuriosito, quando ha affermato che i nazisti erano ecologisti e ambientalisti.
Leggendo qua e là mi hanno colpito due osservazioni del biologo nazista Walter Sconichen (Università di Berlino) 1934-1942: “l’uomo non è più signore e padrone dell’universo, ma come responsabile di una stato selvaggio originario fornito di diritti intrinseci, egli è tenuto a salvaguardare in permanenza la ricchezza e la diversità”.
La maggioranza dei principali ideologi nazisti erano senza dubbio propensi al romanticismo agrario, all’anti-urbanesimo e della necessità del ritorno alla agricoltura.
Per Hitler e Goebbels tra animale, natura e uomo non v’erano differenze.  

Un’altra sua opinione del professore: “Le opinioni antropocentriste generalmente devono essere rifiutate. Sarebbero state valide se il presupposto fosse che la natura è stata creata per l’uomo. … Noi rifiutiamo decisamente questo atteggiamento. Secondo la nostra concezione di natura, l’uomo è un ingranaggio della catena naturale della vita, esattamente come qualsiasi altro organismo”.

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Perché quest’ultima citazione, così al limite, davanti ad una delibera dell’Unione Europea? Non vi è alcun nesso evidentemente e pertinente!
Occorre però leggere la realtà del nostro vissuto per vedere in modo chiaro quanto il naturalismo sia presente nel nostro presente e in che misura l’Europa tratti i cittadini europei che fanno azienda (spesso come pecorelle da far marciare unite, insieme e senza diversità).

  1. Non esistono le regole stringenti che fanno un’ottima sostenibilità. Più della Legge opera il cuore e l’intelligenza delle persone. L’obbligatorietà è ottima per chi non capisce, ma l’insistenza culturale, con una proposta culturale, obbliga ad una fatica maggiore, ma è utile a suscitare quella misura che muove spesso l’uomo: agire per convenienza e per la propria utilità. Un modo per riaffermare anche la libertà. La legge è bene quando non vi è altro modo di porre un sistema di Reporting in altro modo. Le diversità e gli attori devono essere consultati.
  2. La concezione dell’uomo decide le regole che saranno poste in essere: l’Europa ha smarrito la sua origine culturale. E’ soprattutto divisa al suo interno e non ha più una matrice culturale riconosciuta e comune. La cura della natura è parte della cultura di ogni europeo. E’ l’uomo stesso che ha dimenticato la relazione con gli altri suoi simili. Da ciò nasce la cultura del sospetto, dello stato sovrano, dello scarto, senza la consapevolezza che in questo pianeta ed in questa terra ci dobbiamo vivere tutti.
  3. La comunicazione riassume ciò che viene a galla nell’opera dell’uomo, che trasforma il creato, perché (e speriamo che molti la pensino cosi. ndr!) esso è stato fatto per lui perché ne usasse per il bene suo e degli altri.

Quando si tenta di fare Buona Comunicazione normalmente si preferisce fare racconti positivi, rispettosi di tutto e di tutti. Però prendiamo atto che culturalmente nel corso del tempo si prendono cantonate.

La Comunicazione cambia: per incrementare il potere; per lasciare un segno nel prossimo; perché la storia cammini in un certo modo; perché certe idee mie o nostre vengano assunte dai più, per incrementare il portafoglio, per irridere l’avversario, ecc…

La guerra di questi tempi dimostra l’inutilità della comunicazione a due vie.
Tanta comunicazione ad una via e una concezione dell’uomo ridotta.
Non siamo arrivati a Goebbels, ma alcuni, culturalmente, vorrebbero imporre una visione del mondo che la propria ideologia ha suggerito.
Il nazismo è così.

Bruno Calchera
Direttore CSROGGI

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