L’attenzione delle scienze economiche ai temi dello sviluppo sostenibile, della tutela dell’ambiente e infine della responsabilità sociale d’impresa costituisce un fenomeno solo recente.
Le determinanti di questo “ritardo” sono a mio parere tre:
- l’individualismo metodologico sul quali si basa l’analisi microeconomica dell’equilibrio dei mercati, supportato a sua volta dal periodico riaffermarsi degli ideali del liberismo classico
- lo sviluppo accelerato delle scienze e della tecnologia
- la mutata consapevolezza del rapporto fra uomo e natura/creato.
Amartya Sen, scrivendo di sviluppo sostenibile e responsabilità, spiega bene quest’ultimo fattore citando Orazio “Potrai scacciare la natura col forcone, tuttavia sempre tornerà”. Oggi, al contrario, un tale modo di pensare “ha ceduto il posto alla crescente consapevolezza secondo cui l’ambiente in cui viviamo non solo sarebbe particolarmente delicato, bensì rappresenterebbe una minaccia di estrema precarietà per la vita umana, nonché per la vita di altre specie”.
Tale precarietà dipende in modo cruciale dell’attività dell’uomo. In sostanza è cambiata la prospettiva: da un uomo indifeso rispetto all’inesorabilità della natura e che alla fine sopravvive come genere, ma non come individuo, a un uomo onnipotente, almeno in negativo, che può persino distruggere il proprio genere.
L’impatto dell’attività degli individui, delle imprese e degli Stati sull’ambiente e sull’umanità è quindi alla fine come un boomerang anche su chi l’ha posta in essere, dipende dalla seconda variabile determinante: lo sviluppo della scienza. Gli esempi a questo proposito sono molteplici, anche senza citare il settore degli armamenti, basti pensare all’uso delle fonti di energia per il consumo e la produzione: idroelettrico, termoelettrico, nucleare, eolico, ecc.
Lo sviluppo scientifico può impattare positivamente o negativamente: i ponti costruiti oggi sono progettati in base a conoscenze scientifiche enormemente maggiori rispetto al passato, eppure abbiamo vissuto la tragedia di Genova, mentre molti ponti e acquedotti romani sono ancora integri.
Il ritardo nell’attenzione ai temi della sostenibilità è infine riconducibile alla prima determinante.
Andando indietro meno di 50 anni nella storia dell’umanità M.Friedman titolava nel 1970 sul New York Times “The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits”.
Oggi la consapevolezza che, in un’ottica di medio lungo periodo (se non persino di breve) una maggior attenzione ai pilastri della sostenibilità può favorire le performance aziendale, è fortunatamente crescente, anche e in particolar modo in imprese di maggior successo.
di Vito Moramarco
Professore ordinario di Politica Economica
presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano