Pare che tutto sia diventato “sostenibile”. Ogni prodotto è sostenibile. Se non si finisce una frase senza l’effetto be­nevolo e autoreferenziale della parola sostenibilità non si ha la certezza di aver detto una cosa accettabile. Anzi tutto è accettabile perché abbiamo detto che è sostenibile.

Dove arriverà la finanza sostenibile di cui si parla da più parti? Come mostrarne il volto rassicurante e positivo indot­to dalla parolina magica? Bastano i Social Bond per dire che una Banca fa del bene al Terzo Settore? Come si pone poi con i clienti correntisti che non vedono quasi mai gli inte­ressi nei loro conti depositi? E se hanno problemi non sono sostenuti?

Come si può immaginare la sostenibilità alimentare senza passare dal supermercato che ha i prezzi dei prodotti biolo­gici (alti) e gli altri (quelli che ci permettiamo tutti)?

L’alimentazione deve passare dall’analisi chimica? Un con­trollo così ficcante e preciso com’è possibile? Basta guardare ai nostri mercati generali o alle aziende agricole grandi e pic­cole o alle produzioni che giungono dall’estero, per capire che non si tratta di falle nel sistema ma di vie maestre e normali per il transito degli alimenti.

Indubbiamente il biologico “fa fine”. È meglio del mercato rionale, che ha meno controlli e costa meno.

Infine, un’azienda sostenibile come è organizzata? Come Microsoft che ha abolito gli uffici? Qui lavori dove capita e ti impatti forzosamente con chiunque. O è meglio il vecchio ufficio dove due, tre lavoravano insieme, aiutandosi spesso e umanizzando il tempo del lavoro con quattro chiacchiere?

C’è lo sviluppo sostenibile che vede impegnate attivamente persone che avviano progetti, spesso premiati o premianti, che attraverso startup migliorano la vita delle persone fragili o semplicemente risolvono problemi che angustiano il vive­re. Iniziative meravigliose ma spesso poco sostenute proprio da quello Stato che dovrebbe mettere in cima alle sue attivi­tà proprio l’innovazione e la valorizzazione di queste risorse.

Cito da ultimo la mobilità sostenibile con un certo sorriso: abbiamo una rete ferroviaria che si “lucida i bottoni” con l’alta velocità e la rete locale ridotta alla speranza di arrivare al giorno successivo: per carenze diverse, e non solo per i treni. Per non parlare delle auto: hai voglia di immaginare le auto elettriche nei prossimi 30 anni e ai supporti locali indispensabili per viaggiare…

Ecco c’è il ritorno della bicicletta! Un buon tentativo.

Ogni nuova proposta di marketing ha nella sostenibilità il fulcro di interesse.

Non basta aggiungere al sostantivo l’aggettivo “sostenibi­le” per trasformare un piccolo cambiamento, un’innovazio­ne in una cosa nuova.

Ecco, il nuovo è l’innovazione.

Però non c’è una politica sostenibile.

Non c’è un tessuto sociale coeso e inclusivo per favorire la sostenibilità.

La sostenibilità è tanto più efficace quanto più i soggetti sociali tendono a fare sistema, a costruire, ad avere principi comuni, che non sono solo un’etica comune, ma uno sguar­do alla realtà pieno di realismo.

Una società sostenibile comprende i bisogni, non si scan­dalizza degli errori, li corregge. Non è né permissiva né re­pressiva, semplicemente è umana. Fa vibrare il cuore prima del portafoglio, prima di scandalizzarsi, prima di pensare che la solitudine sia il destino di chi ha fallito, che sono finite le possibilità di ricominciare. Persone che sanno dialogare sapendo che le differenze aiutano.

Uomini e donne che aspirano a conoscere, perché cammi­nare consapevoli e senza paura è la condizione della soste­nibilità reale.

Lupo Solitario

(da CSRoggi Magazine, anno 3, n.1, Gennaio 2018, pag. 26)

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