C’è una minaccia che incombe sui proprietari di case e palazzi europei, e in particolare italiani, quella dell’obbligo della certificazione degli edifici, che sembra essere oggi tra le priorità dell’Unione Europea. Parliamo della Direttiva europea “Case green”, che per ora è solo una bozza e che prevede che le case provvedano a ridurre, anzi ad annullare, le emissioni di carbonio a partire dal 2030.

Non è che a Strasburgo siano diventati tutti improvvisamente pazzi, la decisione, se verrà presa, è figlia del fatto che in Europa circa il 75% degli edifici – e in Italia va anche peggio, visto che la percentuale è dell’84% – è dotato di una classe energetica molto bassa, inferiore a D. Potrebbe non essere un problema, se non fosse che gli studi rivelano che, per restare alla nostra Italia, gli edifici, residenziali o industriali, consumano il 40% dell’energia totale e sono responsabili del 39% delle emissioni di CO2.

I conti, dice l’Agenzia Internazionale dell’energia (IEA), sono presto fatti: per riuscire a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni di carbonio – stiamo parlando della “neutralità carbonica” fissata dall’UE per il 2050 – è necessario che entro il 2030 ci sia una diminuzione almeno del 50% di emissioni dirette da parte degli edifici.
Da qui l’esigenza di procedere, nei prossimi anni, con un’intensa opera di riqualificazione e rigenerazione degli edifici, che porti al raggiungimento dell’obiettivo di una loro, se non completa, almeno avanzata “decarbonizzazione”. Ma per essere precisi, perché lo si deve fare e quali sono le “correzioni” da mettere in campo?

Il punto è sempre quello che riguarda le variazioni climatiche.
Come sappiamo le temperature terrestri sono in costante aumento e questo può essere frutto di un cambiamento naturale – non è sbagliato pensarlo – ma è anche conseguenza di un surriscaldamento globale provocato dall’azione dell’uomo. Bisogna riuscire, questo l’obiettivo, a ridurre le temperature e per farlo occorre diminuire la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera.

Gli edifici, l’abbiamo detto, sono molto inquinanti, come renderli meno impattanti? Lo si può fare intervenendo in due direzioni: da una parte attraverso l’incentivo a utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili e dall’altra costruendo nuovi edifici o, meglio ancora, adattando quelli vecchi in modo che siano effettivamente efficienti dal punto di vista energetico. Quindi, tra i vari accorgimenti, attenzione a: sfruttamento di risorse locali con produzione di energia in loco (fotovoltaica, termica, ecc.), taglio degli sprechi e ottimizzazione dei consumi energetici, utilizzo di materiali la cui produzione non comporti grandi emissioni di carbonio…

Non stiamo parlando di facezie. Se i vantaggi di una simile conversione sono più che evidenti – per la salute del pianeta ma anche delle persone che vivranno e lavoreranno in palazzi green, con grandi vantaggi dal punto di vista della qualità della vita e anche del contenimento dei costi energetici – è altrettanto sicuro che il raggiungimento di questo obiettivo è destinato ad avere un costo generale di proporzioni immense. Si stima che nella sola Europa il fabbisogno economico richiesto sia equivalente a 180 miliardi l’anno, una cifra superiore ai fondi che sono a disposizione dell’UE.

Il che fa pensare che non sarà facile riuscire a centrare l’obiettivo fissato per il 2030. Non basteranno i soldi dei cittadini, non quelli degli enti locali, nazionali e sovranazionali: per giungere a un’efficiente e fattiva svolta edilizia sarà probabilmente necessario che il sistema finanziario si impegni a investire in questo settore. Con tutte le conseguenze positive e negative del caso: ci sarà da stare attenti per evitare che una scelta virtuosa, posta per obiettivi positivi che interessano molti, si trasformi una volta di più in un’occasione speculativa che porta al guadagno di pochi.

Lupo Solitario

(da CSRoggi Magazine – Anno 8 – n.2 – Aprile/Maggio 2023; pag. 55)

 

 

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