Il punto del Direttore
L’articolo di oggi sul Corriere della Sera di Marco Sabella (pag.37) è davvero tra i più interessanti in questo periodo. Tratta del “XXII Rapporto sulle medie imprese industriali italiane” presentato da Mediobanca, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne.
Registriamo solo alcuni contenuti:
“le medie imprese confermano di avere di avere un modello dinamico e più resiliente rispetto alle grandi imprese nei periodi di crisi”. (!!!)
La ragione: “sta nella grande attenzione verso la qualità e il Capitale Umano che rappresenta il fattore più determinante della competitività”.
Alcuni numeri:” in una scala di rilevanza da 1 a 5,- se si vuole analizzare la ragione di questa Capacità Strategica – il Capitale umano ottiene un punteggio di 4,6 seguito dal capitale tecnico (4) da quello organizzativo (3,5). Si capisce in questo modo la ragione di tanta tenacia per impedire dimissioni spontanee attraverso la leva economica, con incrementi salariali, benefit aziendali e flessibilità di orario.
Ben il 54% si impegna nella transizione digitale, il 38% sull’innovazione dei processi con tecnologie green, e il 34% punta sulle Economia circolare.
Questi numeri fanno pensare.
Come si muove la grande azienda? Non c’è un reporting che possa aiutarci.
Troviamo che c’è movimentazione nelle figure apicali, che hanno la parte del leone nel definire il successo di una grande azienda. Abbiamo la speranza che la tutela delle giovani generazioni impiegate in queste imprese non sia determinato solo da processi sindacali.
C’è una grande battaglia politica per determinare il minimo salariale.
Non si capisce a chi si rivolge. Pensiamo che sia per tutelare i Contratti a Termine o quelli dei lavoratori stagionali – sfruttati all’inverosimile.
In effetti non è il salario minimo di 9 euro che rivoluzionerà la scarsa considerazione riservata ai giovani. Le piccole imprese con decisioni nette hanno compreso:
- Non si possono perdere risorse umane importanti
- Bisogna stabilire una “percorso” di crescita salariale per i giovani e non solo per i dirigenti.
- I Benefit, che con le nuove norme del Governo, non sono oggetto di tassazione, sono una risorsa importantissima da applicare.
- La variabilità dei tempi di lavoro è gradita.
Per quanto ne sappiamo, nelle grandi imprese è difficile compartecipare allo sviluppo sostenibile: eppure è una esigenza per risultati positivi.
Se il Capitale umano è la vera chiave di volta del successo di una impresa, oltre alle motivazioni strutturali – contratto e posto fisso – occorre altro.
La Sostenibilità partecipata richiede molto di più.
- Una valorizzazione del percorso personale in azienda.
- Gl utili degli azionisti sono indispensabili: ma non li si ottengono strozzando salari ed esagerando nell’incertezza lavorativa.
- Se i ragazzi vanno altrove è perché guadagnano di più, e per l’assenza di un percorso professionale che preveda una maggiore definizione dei miglioramenti previsti in funzione della crescita aziendale.
Questo non è il Capitale Umano. In azienda ci si muove come in guerra.
Una guerra di trincea: competitività interna esasperata nella posizione davanti al nemico/dovere, incapacità di ascolto da parte dei capi reparto, non si ascoltano le proposte nuove dei sottoposti per uscire dalla trincea, assenza di comandanti con idee nuove, strategie conservative, vecchi generali.
Dove sono finiti gli spunti per liberare nuove risorse tra le persone?
Sarebbe interessante partecipare ad un Convegno “aperto” in cui una azienda potesse raccontarsi, e a parlare non fossero solo i capi.
Bruno Calchera
Direttore CSROGGI
Buongiorno, condivido che l’articolo di Marco Sabella è tra i più interessanti in questo periodo. Aggiungo che la tua sintesi lo è ancora di più. Hai colto l’essenza del problema giovani: l’umanità che manca sempre meno nelle relazioni interne e che è la causa principale del disimpegno, l’incalzante fenomeno della “great resignation” che colpisce soprattutto le imprese maggiori. L’evoluzione sostenibile del sistema produttivo è ancora una chimera e la stragrande maggioranza delle imprese ne rimane distante. Se guardiamo i numeri sono le PMI che, in proporzione alla dimensione, sono più convinte di umanizzare la loro missione secondo i criteri ESG, con particolare riferimento al sociale e alla considerazione degli stakeholder, principalmente le risorse umane.
Grazie Bruno, la tua newsletter è il mio buongiorno di ogni lunedì. Ciao Francesco Tamburella