Il punto del Direttore
La lettura dell’articolo di Barbara Stefanelli sul Magazine “7” del Corriere della Sera di sabato 21 Luglio è particolarmente interessante. A proposito del Green Deal dell’Europa che sembra mettere in fila tutti i cambiamenti necessari per realizzare una transizione energetica ed ambientale non è una strada condivisa.
Un nemico da contrastare per alcuni oppure “invocato come l’unico futuro prossimo dell’umanità (…) prima di imboccare una delle due strade possibili a sinistra o a destra, come se la nuova frontiera passasse ancora lì, tra schieramenti (“ormai”, n.d.r.) logorati, proviamo a stare fermi un giro. Per raccogliere informazioni anche poche. Perché se questa questione definirà il nostro tempo – climatico, politico, culturale – compiere lo sforzo di ragionare su dati e scenari è essenziale per non lasciarsi travolgere da una contrapposizione che in un soffio si impenna e diventa pericolosa.
Per la Commissione UE, il Green Deal viene presentato così: I cambiamenti climatici e il degrado ambientale costituiscono una minaccia enorme per l’Europa e per il mondo. Per superare queste sfide, il Green Deal europeo trasformerà l’UE in una economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitività, garantendo che: 1) nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; 2) la crescita economica venga dissociata dall’uso delle risorse; 3) nessuna persona e nessun luogo siano trascurati”.
Uno sguardo futuribile. Un tracciato che pare non guardi fino in fondo la realtà ma disegni una avventura umana con poco realismo. Non esistono politici, nazioni, che da soli riescono ad incidere fino a questo punto.
La nota più importante non è segnalare il Green Deal culturale con obiettivi specifici, pena il creare un libro di sogni che viene sfogliato solo in Europa. La Transizione Ambientale ed energetica è una questione mondiale ed è una questione più grande del Green Deal.
Lo dice la realtà, lo manifestano le crisi climatiche, e l’urlo della morte che proviene da tante parti del mondo. Li vediamo i dibattiti in TV ogni giorno. Scarnificano il vissuto di tutti, ricercando un consenso sterile. C’è la tensione ad avare tutte le ragioni perché si hanno tutte le informazioni da tutti i centri che danno idee e ragioni.
E’ il degrado della politica: non sa dare la pace, mostra i limiti nelle relazioni umane e tra gli stati: è timida nella coesione e nella decisione. Dopo la seconda guerra mondiale non siamo stati capaci di pensare alla convivenza pacifica in alcun istante dopo la fine delle ostilità. La guerra è sempre continuata.
La guerra continua da allora a pezzi (come dice il Papa).
Così come il degrado ambientale ha origini lontane nel tempo: nasce con l’idea illuministica e modernista dell’uomo padrone del creato.
A che serve discutere fino a dilaniarsi di rabbia quando la partita è perduta culturalmente?
Il dato più interessante è il degrado educativo: è l’origine del vero degrado della nostra civiltà.
Il che significa: l’incapacità di relazione tra persone, la propensione alla divisione e l’affermarsi di idee particolari, legate ad ideologie ormai compromesse.
L’imposizione del proprio parere e l’uso della legge per fini di parte.
Le voglie diventano diritti, così come le incapacità si pongono come misura cui attenersi come diritto naturale.
Scriveva Barbara Stefanelli. “Siamo sicuri che il welfare pubblico continuerà a tutelarci durante la transizione?”
No cara Barbara! Non solo il welfare non ci tutela ma guardiamoci attorno: chi potrebbe farlo?
Da una parte una pressione esasperata dettata dai propri bisogni divenuti diritti, dall’altra l’impossibilità di corrispondere da parte di persone ed Enti.
Il Welfare è in mano a gente limitata con risorse limitate.
Il limite umano non lo si può cancellare, né ignorare: è la realtà che lo impone.
Bruno Calchera
Direttore Responsabile CSROGGI