Siamo entrati nell’agone politico dell’ultimo mese prima delle elezioni dell’8 Marzo.

Sono state fatte le liste elettorali con grande fatica per tutti: gente che entra sgomitando, gente che si trova al primo posto in un “collegio sicuro” si dice, gente delusa o emarginata ed anche esclusa.

Non è una prassi italiana, ma la legge elettorale è invece una trovata italica che ha scontentato molti per la difficoltà di essere scelti personalmente dai cittadini e non dalle segreterie di partito.

Questo vale anche per le cosiddette “parlamentarie” che in effetti ti permettono di votare qualcuno, però, non essendo l’ultima parola per essere scelti, alla fine un piccolissimo gruppo decide veramente. ( M5S =  Infatti 39.900 votanti: un quartiere di una piccola città o il 23% di un quartiere di una grande metropoli.  Con 100 voti si passa:  sono sufficienti i soci di una cooperativa) escluso il popolo cioè fallimento della Democrazia Diretta)

Con i candidati ci sono i programmi.

La parola Sostenibilità è presente in molti programmi più come aggettivo che come sostantivo.

Per dare un effetto benevolo o buonista della proposta programmatica si chiede una mobilità sostenibile, una finanza sostenibile, una organizzazione sostenibile della vita sociale, un welfare sostenibile, e via così…

Il tema dei programmi è molto importante però.

Da parte nostra ci sarà una forte attenzione per quelle prassi enunciate che faranno attività che effettivamente segnano il passaggio verso la sostenibilità dello sviluppo e della vita stessa della gente.

Vogliamo sentire parlare ad esempio di processi economici in cui al centro c’è l’Economia Circolare, ci interessa che non ci siano più sprechi di nessuna natura. Che il tema rifiuti sia ben centrato come filo guida di un nuovo tipo di attenzione legislativa. Premiante per coloro che praticano il non spreco e punitiva per coloro che sperperano le risorse buone del paese. Non solo la natura, ma i progetti di formazione, di valorizzazione delle persone, di solidale sostegno per coloro che hanno bisogno.

Ci piacerebbero i programmi politici che misurano la trasparenza nella gestione amministrativa. Che non chiudessero il problema nel fare un Buon Bilancio Integrato (il che sarebbe già molto) ma che si adoperassero al fine di far sapere a tutti la bontà dei processi, una nuova e positiva visione della propria organizzazione interna.

Vorremmo fossero introdotti, e fosse nel programma di qualche politico l’intenzione di legiferare per qualificare benefici fiscali per quelle imprese che liberamente hanno deciso di dotarsi di strumenti per ridurre l’inquinamento ambientale, che migliorassero il welfare aziendale interno, che promuovessero un legame con il territorio al fine di connettersi con i processi educativi.

In quale programma politico troveremo un impegno per il miglioramento della tecnologia o a procedure burocratiche semplici per favorire le categorie svantaggiate (disabili, malati, anziani, terremotati, migranti, ecc. …) eliminando quei vincoli che rendono difficile la loro vita?

Quale sostenibilità per la Pubblica Amministrazione? L’Amministrazione Pubblica non è sostenibile in nessuno dei suoi processi: non lo è nelle relazioni con i cittadini… e qui andrebbero indicate le vie di rinnovamento; non lo è nelle relazioni con le imprese… sarebbe interessante comprendere come potrebbe svilupparsi una nuova stagione di relazioni; non lo è con i propri dipendenti… e alla fine bisognerebbe non solo pensare allo stipendio ma soprattutto fare un nuovo progetto per migliorare la relazione con i cittadini, premiando le buone iniziative, le novità organizzative, la rapidità non disgiunta dalla efficienza.

Infine la sostenibilità nella comunicazione.

Non si limita la libertà di espressione, assolutamente, ma quando una azienda dà notizia pubblica delle sue trasformazioni di prodotto e di servizio in chiave di CSR va premiata, va dato atto tangibilmente che questa sensibilità sociale è ciò che si attende il paese e lo Stato lo incoraggia; così come gli spot promozionali che puntano sulla descrizione in chiave di responsabilità d’impresa devono avere un vantaggio fiscale. Tutto ciò per dimostrare che il fine ultimo della vita di una azienda, non è il business, ma il bene comune di lavoratori e cittadini.

Sono discorsi e suggerimenti che non giungono alla pancia della gente che preferisce le risposte semplici: non hai lavoro? Ti do lo stipendio anche se non fai nulla. Non hai la casa? Cedo quella sfitta che vedo in giro. Non vuoi gli immigrati? Li rispedisco a casa loro anche se lì li fanno fuori o muoiono di fame. C’è la sporcizia in giro? Mi interessa ma si può vivere anche così. C’è la malavita? Meglio non spendere soldi per migliorare le forze di polizia e le forze armate. Basta mettere tutti in galera e buttare la chiave.

Un paese sostenibile è un paese ricco della sua cultura, geloso delle sue tradizioni, appassionato del vivere bene, del far crescere i più piccoli, che vive anche del sacrificio consapevole, e che ha nella famiglia la prima cellula vitale. Una cellula che sa che la vita matrimoniale è una avventura positiva anche se vi sono momenti in cui occorre un sacrificio e che i bimbi sono il frutto più bello di una condivisione amorevole.

La sostenibilità appartiene a questa cultura della positività ultima nella vita, a questo irriducibile desiderio di vivere e di vivere pienamente in pace con se stessi e con gli altri. In essa il lavoro è indispensabile anche se mai un lavoro rispecchierà fino in fondo i desideri del cuore, e la terra e il costruire è sempre un pegno ereditario per una generazioni che deve ancora nascere.

Bruno Calchera

Direttore Responsabile di CSRoggi

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