Lupo solitario
È un po’ come quando chiedono alle candidate ai concorsi di bellezza quali sono i desideri che vorrebbero fossero realizzati.
C’è chi dice «Realizzarmi nella vita», chi «Avere una bella famiglia, con tanti figli», chi ancora «Trovare un buon lavoro». Altre puntano sulla salute. Altre ancora, e tendono a esagerare: «Il mio desiderio è che ci sia la pace nel mondo!».
Ecco, a volte le persone che si occupano di sostenibilità, a tutti i livelli, sembrano assomigliare a queste ultime candidate.
Instancabili, vanno in giro a raccontare che se andiamo avanti così il nostro pianeta non avrà un futuro o, a essere ottimisti, ne avrà uno triste e caratterizzato da un’involuzione ambientale, sociale ed economica senza precedenti.
E allora lanciano appelli che poco lasciano alla speranza e indicano a gran voce la strada che dovrebbe essere seguita per scongiurare una situazione catastrofica e non più gestibile dalla mente umana.
«Dobbiamo smetterla di sfruttare la terra oltre le sue possibilità», «Basta con le emissioni inquinanti», «Largo all’energia pulita», «Stop al consumo di plastica», «Valorizziamo le persone in quanto tali», «Troviamo accordi internazionali per salvare il nostro pianeta»…
Per fortuna ci sono loro, che parlano di queste cose. Per fortuna c’è l’ONU, che in un moto d’orgoglio, dopo anni di silenzio e di difficoltà a dimostrare l’importanza della sua esistenza, ha deciso di richiamare l’attenzione del mondo fissando i 17 famosi obiettivi per lo sviluppo sostenibile.
Se non ci fossero tutte queste persone che si occupano di questi argomenti, tutti noi ce ne andremmo sereni verso il baratro, inconsapevoli di quanto potrà accadere a breve, proprio come fecero i passeggeri del Titanic in quella triste notte. Ci sentiamo forti, invincibili, in grado di tenere sotto controllo tutto, senza renderci conto che l’iceberg è lì, nel buio, che ci aspetta.
È un movimento d’opinione basato su dati precisi, previsioni certificate, argomentazioni quanto mai serie ma che trova però poca rispondenza nel mondo reale. Se l’umanità in generale riuscisse davvero a capire la pericolosità del mantenere certe scelte attuali, sui giornali, nelle televisioni, sui social non si parlerebbe d’altro. E invece questi argomenti vengono trattati per lo più nei convegni, in alcune redazioni di nicchia, nei board di alcune aziende virtuose.
Del resto come riuscire ad affermare un concetto di cooperazione internazionale, oltre che di responsabilità personale, quando la direzione dell’opinione pubblica va sempre più verso la chiusura dei confini, la difesa delle nazionalità, l’egoismo di chi vive una vita agevole e deve difenderla dagli “attacchi” delle persone più povere e meno fortunate? Il mondo, buona parte di esso, sembra andare nella direzione opposta a quella dei 17 goals dell’ONU.
Per questo, finché non ci saranno leader politici di prim’ordine che prenderanno coscienza della situazione verso cui ci stiamo dirigendo e decideranno di raccontarlo “a reti unificate”, l’opinione pubblica non si muoverà verso quella direzione virtuale che tutti dobbiamo auspicarci.
Fino a quel momento i bei discorsi e i buoni propositi di chi oggi si occupa di sostenibilità saranno destinati a essere considerati né più né meno come i buoni propositi delle miss dei concorsi di bellezza: «Vorrei che ci fosse la pace nel mondo!».