La lunga campagna elettorale che ha portato alle elezioni amministrative del 4 marzo scorso è stata una vera Waterloo per la sostenibilità.

Parliamoci chiaro: nei due mesi che hanno preceduto l’andata alle urne abbiamo sentito parlare di tutto. Di tasse che non pagheremo più, di soldi che ci verranno dati in più, di nuovi posti di lavoro, di pensioni raggiungibili prima. Di condoni, espliciti o mascherati. Di città pulite, inquinamenti scomparsi, strade asfaltate e lisce come tavoli da biliardo.

Si è parlato di onestà, di sicurezza, di amore per la patria, di difesa del territorio e anche (purtroppo) di razze supposte superiori.

Ci sono state promesse un sacco di cose, nei giorni precedenti le elezioni, che se se ne avverasse anche solo un quarto la nostra vita sarebbe destinata a diventare fantastica.

Ma c’è un argomento su cui non si sono spese tante parole, in tutti questi giorni di battaglie verbali. Non abbiamo sentito quasi nessun politico – né quelli di prima fascia, veri personaggi televisivi, né gli ultimi arrivati, che vanno alla ricerca di voti nelle retrovie – pronunciare con la dovuta continuità le parole “sostenibilità” o “responsabilità sociale d’impresa”.

Nessuno l’ha fatto. Nei talk show televisivi, questo abbiamo potuto provarlo personalmente, ma probabilmente nemmeno sui palchi delle feste della salamella organizzate sotto i tendoni dei piccoli paesi di provincia.

Noi, che queste parole le mastichiamo un giorno sì e un giorno no, siamo rimasti molto sorpresi da questo vuoto. Un silenzio assordante, abbiamo pensato, che ci fa tornare indietro di decenni, quando concetti come questi erano sconosciuti.

«Ma come – ci siamo detti – tutti parlano di CSR ormai da anni. Tutti sanno che cosa sia e quale sia l’importanza di un concetto come quello della sostenibilità. Tutti hanno ormai capito che le aziende non possono pensare a creare solo introiti economici, ma devono anche avere obiettivi legati al miglioramento della qualità di vita della collettività in cui sono inserite…».

E ci siamo arrabbiati: «Possibile che i nostri politici e aspiranti politici siano così arretrati, non al passo con i tempi? Che non si rendano conto del fatto che l’interesse al sociale da parte delle imprese e del mondo in generale è ormai un punto fermo da cui non si può più prescindere, che non può più essere trascurato?».

Sì, ci siamo arrabbiati. Ma l’arrabbiatura è durata poco, perché subito dopo ci è nato in testa questo brutto pensiero: «Alle spalle dei politici, soprattutto dei “Numeri Uno” dei vari partiti, ci sono fior di uffici stampa, esperti in comunicazione, agenzie che lavorano in questo settore da secoli. Gente che sa benissimo quali tasti toccare, quali sensazioni risvegliare, quali argomenti trattare per attrarre l’attenzione e, soprattutto, i voti della gente… Se non hanno ritenuto di dover affrontare discorsi di questo tipo è forse perché li hanno ritenuti secondari, di poco interesse per gli italiani in generale».

E allora, con tristezza e preoccupazione, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci: «Non è che, dal punto di vista della sostenibilità e della CSR, in Italia siamo davvero indietro di decenni?».

Lupo Solitario

(da CSRoggi Magazine, anno 3, n.2, Marzo 2018, pag. 28)

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