In questi quasi dieci anni trascorsi dall’approvazione dei 17 Goals dell’ONU, la sostenibilità è diventata di volta in volta una strategia di marketing, un’etichetta per tutte le stagioni, un luogo comune per abbellire la ricerca del consenso.
A settembre saranno passati dieci anni dall’approvazione da parte dei 193 membri dell’Onu degli Obiettivi 2030 “per lo sviluppo sostenibile: un programma d’azione volto a promuovere il benessere delle persone, la salvaguardia del pianeta e la prosperità negli anni a venire”. E da dieci anni tra le parole che hanno conquistato un posto d’onore nei confronti politici e sociali sicuramente la parola “sostenibilità” si trova nella parte alta della classifica.
Agenda 2030. Diciassette ambiziosi traguardi per i quali tutti i Paesi si sono impegnati a sviluppare politiche capaci di combattere la povertà, la fame, le malattie, l’istruzione, la parità di genere, il lavoro e così via. Tutti obiettivi nobili e giusti, così come nobile e giusta è stata la volontà di proporre una visione condivisa di un mondo migliore, in cui la dignità umana, la giustizia, la prosperità e la sostenibilità ambientale siano alla portata di tutti.
La mancanza di una strategia condivisa
Questo proclama ha dovuto fare i conti, tuttavia, con più di una difficoltà. Non tanto per quella sfortunata scelta iniziale di puntare su 17 punti senza tener conto di quell’irrazionale, ma condivisa “eptacaidecafobia” cioè sulla convinzione che il 17, così come per alcuni il 13, sia un numero da evitare e che per questo talvolta è “dimenticato” nella numerazione delle file dei sedili degli aerei o dei piani in un grattacielo.
I veri problemi sono stati e continuano a essere la dispersione delle iniziative e la totale mancanza di una strategia condivisa. E l’Italia è ancora più in ritardo degli altri Paesi, con settori dove si sono fatti addirittura dei passi indietro. Lo ha sottolineato con trasparenza l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) nel rapporto pubblicato nell’autunno scorso. Quasi due milioni di famiglie vivono in condizione di povertà assoluta, 1,7 milioni di giovani non studiano e non lavorano, è ancora carente la gestione degli ecosistemi. E anche dove si registrano passi avanti, come sulla digitalizzazione e sulla sanità, si continua a investire meno della media europea.
Certo, c’è stata la pandemia che ha dirottato attenzioni e risorse. Certo, l’aggressione della Russia all’Ucraina ha cambiato gli equilibri internazionali. Certo, in Italia alcune scelte, come quella del superbonus, sono state improvvide e dispendiose.
Ma resta il fatto che la sostenibilità è diventata di volta in volta una strategia di marketing, un’etichetta per tutte le stagioni, un luogo comune per abbellire la ricerca del consenso. L’Agenda è così diventata un fiume carsico che ogni tanto riemerge di solito con allarmi e denunce, ma che poi ritorna a scorrere indisturbato lontano dagli occhi e dal cuore. Sì, dal cuore: perché una vera politica di sostenibilità non può che nascere dalla convinta partecipazione di tutti e di ciascuno.
di Gianfranco Fabi
Giornalista
( da CSRoggi Magazine – n.2 – Anno 9 – Aprile/Maggio 2024; pag. 6 )
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