Il punto del Direttore

 

 

 

I mercati finanziari arabi – Abu Dhabi, Qatar, Arabia Saudita – sono stati i primi a reagire. Male. La Borsa di Dubai anche peggio. Per quanto piccoli, il contraccolpo di questi listini è stata l’immediata dimostrazione di quanto gli affari siano sensibili all’incertezza. La scossa tellurica dell’attacco terroristico di Hamas a Israele ha provocato effetti a catena su un mondo legato soprattutto a idrocarburi e fondi sovrani. Ed è stato solo l’inizio. Pensare che fino al 7 ottobre, molto di ciò che si muoveva qui era proiettato verso la Cop28, la Conferenza annuale Onu sul cambiamento climatico che si terrà proprio nell’Emirato da fine novembre, per due settimane (30-11/12-12). Manca un mese, un’eternità in questo quadro geopolitico e militare in cui tutto può cambiare in un attimo. L’agenda del vertice (da fine novembre) guidato dal sultano emiratino Al Jaber era già tortuosa per finanza climatica e trattative fra Paesi ricchi e poveri. Con l’attacco a Israele sarà ancor più complessa. E la paura non può portare a nulla”.

(tratto dall’articolo di Edoardo Vigna in Pianeta 20-30 del  26 Ottobre 2023)

 

Lo abbiamo sempre sostenuto: alla Sostenibilità non fa bene l’ideologia. Lo abbiamo ripetuto quando abbiamo preso le distanze da Ultima Generazione e le loro manifestazioni per l’ambiente; lo ripetiamo anche in relazione al cibo che viene trattato a Bruxelles, come se l’uomo non fosse in grado di cibarsi al meglio (in Italia la cosa è osservata con molta preoccupazione).
Ora anche questa nuova guerra scatenata il 7 Ottobre manifesta la potenza delle ideologie e la povertà di coloro che sostengono la pace. E’ una povertà culturale che non riesce – come tante cose buone – a penetrare nella vita di una persona ponendo al suo centro l’amore per la vita propria e dell’altro.

Ci sono tanti motivi per fare la guerra e non sono spesso ideologici, la pace ha la necessità di porsi per la vita sociale di tutti per divenire terreno di costruzione sociale e pratica.
La pace non è una ideologia ma innanzi tutto la manifestazione di una cultura.
Il pacifismo è spesso ideologico anche dietro a bandiere arcobaleno.

A Dubai è innanzi tutto il mondo arabo che ha la responsabilità – come paese ospitante – di dar prova della possibilità di dialogo tra le nazioni anche se l’argomento non è Israele ma la Sostenibilità.
Non è possibile un successo di COP 28 prescindendo da ciò che accade ora.
Smarriti come i palestinesi di Gaza ritengo lo siano stati anche gli Ebrei del ghetto di Varsavia quando i nazisti decisero di sbarazzarsene, perciò speriamo non riaccada quel tempo infernale.

Eppure la stirpe di Abramo non ignora la Legge biblica. Anche per i Musulmani la pace è un valore. Come lo è per i Cristiani, e tutte le religioni che hanno segnato gli uomini primitivi.
Il motivo dell’attuale scenario di guerra si dice risalga già alla nascita di Israele nel 1948, alcuni invece dicono che non vi fu mai pace tra ebrei e mussulmani (non ci fu pace per secoli tra cristiani e mussulmani).
Oggi nel clima di polverizzazione ideale non esistono presidi culturali dialoganti, solo fazioni, gruppi.
Una società liquida che non sa trattenere legami e valori.

Vigna: “Dobbiamo separare i fatti dalla finzione, l’impatto dalla ideologia, e assicurarci di evitare le trappole della divisione e della distrazione”. Diceva lo sceicco del Dubai Al Jaber “Non possiamo staccare la spina al sistema energetico di oggi prima di costruire quello nuovo domani”. Le “Cop” sono animate dal realismo: oggi un iter difficile perché le circostanze dividono uomini e paesi.
Così sarà impossibile a livello globale pensare alla Sostenibilità per dare linee di sviluppo e strategie alle nazioni.

Altre COP hanno avuto esiti negativi – conclude Vigna – 14 anni dopo la n. 15 di Copenaghen ad esempio gli obiettivi climatici non erano così incombenti e pericolosi.

Bruno Calchera
Direttore CSROGGI

 

 

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