La recente tornata elettorale per le Amministrative italiane è stata per lo più incentrata, nei programmi delle diverse forze politiche, sul tema SICUREZZA.

E’ il vero bisogno odierno conclamato dalla gente: sembra che la paura, spesso identificata in taluni processi sociali (immigrazione, malcostume, degrado umano, ecc …) sia il vero stato d’animo oggi più diffuso.

Respirare incertezza e insicurezza – quando non è un modo di atteggiarsi e difendere il proprio status – non aiuta spunti innovativi, frena la buona economia, inibisce l’imprenditorialità, frustra le esperienze educative, rende scettici sul futuro del vivere comune, del fidarsi.

La sicurezza è il tema più vivo.

La CSR è un approccio sistemico che impegna a guardare tutta la realtà per trasformarla in bene comune, per rendere migliore la vita nel lavoro e nella città, per impegnare l’economia ed il fare, con una attenzione in più: quella della vita positiva.

Così la CSR introduce item per misurare, rendere conto e rendersi conto, di ciò che si fa e offre indicazioni e strumenti di valutazione per migliorare.

La sicurezza è un nuovo territorio della CSR.

Per togliere la paura, vincere il timore che abita tra le case e nelle aziende, occorre che la CSR dica che ci sono passi possibili. Direi necessari da fare.

  1. Innanzi tutto la tecnologia: ne è impiegata molta e diffusamente, ma gli investimenti sono scoordinati tra loro. Ognuno fa per sé e non è il sistema migliore per vincere la paura e l’incertezza.

  2. Le risorse umane impegnate – penso anche alle forze dell’ordine – faticano a coordinarsi. La politica non ha posto “centrali della sicurezza”, ripetendo modelli ormai obsoleti.

Pensiamo alle tante sedi di carabinieri e polizia, per non dimenticare la polizia urbana, che non sono occhi sul territorio, ma uffici per le denunce e per pratiche diverse.

Le ”centrali della sicurezza” dovrebbero essere quei luoghi che frequentiamo positivamente, che vediamo in tv e che ti mostrano il territorio, come lo si controlla, con quali risorse e con quale partecipazione della comunità.

  1. I sistemi di video sorveglianza pubblici e privati che non dialogano tra loro.

Gestiti quasi con riserbo, senza la possibilità di metterli in rete. Tante telecamere in giro, poche informazioni e sempre dopo il fattaccio o dopo la denuncia del fattaccio. Qui la comunità non entra, lo fanno gli addetti che non dialogano con nessuno.

  1. Infine la Città, o il quartiere, non si incontra. I luoghi della vita sociale sono la Televisione e le poche manifestazioni pubbliche. E spesso si respira sfiducia e discredito proprio in questi luoghi: si dicono e si fanno grandi analisi per delegittimare l’avversario, o per elencare le cose che non sono fatte o le colpe dell’uno o dell’altro.

Quando ci si potrebbe incontrare un territorio e porre il tema sicurezza, recependo i diversi bisogni. E’ inutile sapere che i cittadini vogliono più telecamere di sicurezza se poi non si capisce se esse servono e danno maggiore tranquillità.

In una Zona di Milano ad esempio, in uno dei diversi ora Municipi, inutilmente, in quel parlamentino popolare, alcuni chiedevano di avviare una “Commissione alla Sicurezza “, ma sempre, per ben 4 o 5 volte quella maggioranza politica che guidava la zona lo impedì. Anzi proprio quella maggioranza ripeteva una frase del sindaco di allora : “a Milano c’è sicurezza…”

Nella relazione con le Forze dell’Ordine si possono usare strumenti tecnologici di nuova generazione (le applicazioni innovative che vivono ad esempio su ogni telefonino ed anche un collegamento di esse alle “centrali della sicurezza”) gli incontri di comunità, di quartieri, un miglior uso delle risorse pubbliche – infine, ed è un esempio: i custodi sociali, al pari dei portinai, possono essere vere e proprie sentinelle del territorio e valutare se nel caseggiato tutto ciò che accade è lecito.

Infine sono allestibili i “totem della sicurezza” messi in luoghi sicuri, dove i cittadini possono segnalare disturbi, problemi e le possibili insicurezze generate da fatti di cui si fa esperienza.

Non è il trionfo della delazione.

Non si tratta foraggiare qualche parte politica, ma dare fiducia al cittadino e una nuova relazione con le Forze pubbliche deputate a vigilare sulla vita di tutti. E battere il degrado e l’illegalità dove questo attecchisce. C’è chi nel degrado vive da re, ma è sempre colui che ha rifiutato un vivere sociale coeso, chi ha deciso una solitudine esistenziale e una non partecipazione positiva decidendo di essere sempre contro. Frange sociali da aiutare nel riscattarsi, ma non da assecondare.

Qui la CSR dà conto di cosa si fa, qualifica gli stakeholder, dialoga con essi, e alla fine sono proprio gli stakeholder che fanno la migliore scelta sul “vale la pena” rendendosi conto di come si opera, senza sperare che la soluzione venga da cielo o dallo Stato – che è lo stesso!

Bruno Calchera – Direttore

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