La COP27 è stato un evento che forse in tanti abbiamo seguito con un sentimento e una coscienza diversi. Forse perché si parla ogni giorno di sostenibilità forse perché da Nord a Sud in questo 2022 ci siamo accorti che qualcosa non funziona nell’ambiente, che il cambiamento climatico è reale e ci tocca da vicino. Forse si sono convinti anche gli scettici dopo l’autunno bollente e i mesi estivi senza pioggia e in carenza d’acqua.
Sharm el Sheikh rappresentava una speranza, la spinta forte che chi si occupa di sostenibilità, e non solo, voleva. Iniziamo allora subito a dire che le cose non sono andate verso un pieno successo. La plenaria conclusiva dopo una lunga trattativa ha lasciato soddisfatta una parte di mondo e un’altra meno. Chi è rimasta soddisfatta è la lobby del petrolio, che non ha visto un vero stop.
Un bicchiere pieno a metà
La voce del Sud del mondo si è fatta sentire e i Paesi in via di sviluppo e più vulnerabili hanno ottenuto la creazione di un fondo “Loss and Damage”, che dovrebbe supportarli nel gestire i danni e le perdite dovute al disinteressamento climatico dei Paesi più ricchi nei decenni (secoli) precedenti. E ci siamo arrivati dopo quasi trent’anni di dibattito: cerchiamo però di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Dato che però nessuno è contento di sborsare soldi per altri Paesi sono state poste due condizioni: 1) a beneficiarne possono solo le nazioni più vulnerabili agli eventi climatici estremi (da definire quali); 2) i donatori non devono essere solo UE, USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone ma anche le nuove potenze economiche come la Cina.
I temi trattati nel documento sono scienza, energia, mitigazione, adattamento e finanza. Nella sezione sull’energia si parla finalmente delle rinnovabili e si dice che occorre accelerare le misure verso l’eliminazione graduale dell’energia a carbone e l’eliminazione graduale e la razionalizzazione di sussidi inefficienti ai combustibili fossili, in linea con le circostanze nazionali e riconoscendo la necessità di sostegno verso transizioni giuste.
Circa $4 trilioni all’anno devo essere investiti in energie rinnovabili e infrastrutture al 2030. Rilegata al paragrafo scienza, come fosse ancora una cosa teorica e non pratica e urgente, vi è poi la solita spada di Damocle delle future generazioni ovvero mantenere l’aumento delle temperature sotto 1.5°C. Ora siamo a +1.2° C. Peccato che non sia così chiaro il come, dato che i tagli alle emissioni e il net zero sono assodati, ma il phase-down del carbone non è stato esteso al petrolio e al gas. Inoltre, i Paesi più ricchi non hanno un obbligo di aumentare i finanziamenti per evitare di superare le temperature oltre il grado e mezzo fissato.
«Molti compiti e poco tempo»
Due interventi di commento, in particolare, meritano di essere citati per spiegare in sintesi gli esiti della COP27.
Il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans è parso molto deluso: «Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del Loss and damage, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e molto tempo, rispetto alla Cop26 di Glasgow. […] La soluzione non è finanziare un fondo per rimediare ai danni, è investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera».
Il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha sottolineato: «Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che COP27 non ha affrontato. […] Per avere qualche speranza di mantenere l’1,5, dobbiamo investire massicciamente nelle energie rinnovabili e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili. La COP27 si conclude con molti compiti e poco tempo».
Il documento finale non sembra mettere dei paletti chiari e lascia agli Stati decidere quanto sentirsi responsabili anche nei confronti dei Paesi più in difficoltà. Si guarda già alla COP28 come se, sotto sotto, si fosse capito che questa edizione non abbia portato a casa granché eccetto un bla bla trito e ritrito e il fondo Loss and Damage, su cui avremo sicuramente da parlare, nel prossimo futuro.
di Ylenia Esther Yashar
(da CSRoggi Magazine – Anno 7 – n.5/6– Dicembre 2022; pag. 46)