Il Punto
La collaborazione tra le aziende e le realtà di Terzo settore oggi può essere considerata sotto molti profili al suo culmine. Questo accade per vari motivi, legati a filo stretto con l’evoluzione che sta riguardando i vari soggetti coinvolti.
Da una parte ci sono le aziende, le quali hanno raggiunto la consapevolezza che essere sostenibili e sensibili alle indicazioni degli SDGs, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dettati dall’ONU in applicazione della cosiddetta Agenda 2030, significa essere presenti e attivi soprattutto sul territorio, nella comunità di appartenenza dell’azienda stessa.
Senza voler dimenticare i grandi progetti pensati per essere attuati in situazioni “lontane” – dagli aiuti umanitari portati in aree del mondo in cui regnano guerra, povertà, carestia, al sostegno portato allo sviluppo in settori emergenti e bisognosi di risorse economiche e umane – si è compresa l’importanza di dedicare la propria attenzione alle situazioni “locali”, da sostenere con idee e interventi che non si esauriscono in una breve stagione me che vengono applicati a lungo termine.
Il tutto, condiviso con chi sul territorio c’è già e per questo ne conosce bene le caratteristiche, le esigenze e le speranze. Si tratta, ovviamente, degli enti del Terzo settore, un mondo che, lo dicono le ultime rilevazioni, è dato essere in forte crescita. Sarà l’impulso derivante dalla Riforma che ha riguardato l’intero settore, sarà che il post-covid ha creato nelle persone una rinnovata e maggiore sensibilità ai problemi comuni, sta di fatto che il coinvolgimento di associazioni, fondazioni, enti no profit nei progetti di sostenibilità delle aziende è oggi più intenso che mai.
Con una particolarità aggiuntiva: i progetti, oggi, in larga parte non sono più studiati in solitudine e imposti ai beneficiari dalle aziende. Oggi questi vengono pensati, progettati, condivisi con le realtà territoriali e con i loro rappresentanti, aspetto che accresce ancor più il ruolo del Terzo settore in fase di progettazione, applicazione e, anche, gestione.
Per questo è necessario che gli amministratori degli enti no profit – così come del resto i responsabili messi in campo dalle aziende – siano all’altezza della situazione. Un’indicazione precisa deriva dal nuovo Codice del Terzo settore, dove non si parla più, per quanto riguarda l’attività degli amministratori, di operare “con la diligenza propria del buon padre di famiglia”, ma piuttosto di adempiere “con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”. Quella richiesta, oggi, non è più la semplice volontà di fare bene: a questa, che rimane comunque e sempre un caposaldo del mondo che ruota attorno al volontariato, si aggiunge una competenza più specifica, quasi professionale, che operi tenendo conto sempre e in primo luogo la mission dell’ente.
Da una parte, quindi, abbiamo aziende più consapevoli dell’importanza delle azioni di sostenibilità condivise sul territorio e dall’altra abbiamo un sistema di Terzo settore sempre più forte e preparato: condizioni che sembrano essere i presupposti ideali per l’affermazione di uno sviluppo sostenibile destinato a divenire parte integrante della nostra comune esistenza.
Luca Palestra
Caporedattore