Economia sociale, diritti, coesione. «La pandemia ci ha mostrato che dobbiamo lavorare per l’inclusione, per combattere la povertà e per dei servizi sociali migliori». Nicolas Schmit, lussemburghese, è il commissario al Lavoro e ai diritti sociali. Ha anche la delega all’Economia sociale. L’inclusione, la lotta alle diseguaglianze e alla povertà sono alcune delle battaglie della Commissione europea, che si trova a gestire la più grave crisi dal dopoguerra. La sfida non è solo economica ma riguarda anche la difesa dei valori dell’Ue. In più occasioni la presidente Ursula von der Leyen ha ribadito che l’obiettivo è «non lasciare indietro nessuno» nella trasformazione verde e digitale che dovrà affrontare l’economia europea.
Perché l’attuale Commissione Ue sta puntando molto sull’economia sociale?
«Quando Michel Bamier era commissario fu lanciata un’iniziativa molto forte sull’economia sociale. Poi è stata un po’ dimenticata a causa probabilmente della crisi. Ma dinante la crisi l’economia sociale ha dimostrato di resistere meglio alle difficoltà. Questa Commissione è la Commissione della grande trasformazione: il Green Deal, la digitalizzazione e altre grandi transizioni. Perciò fin dall’inizio ha indicato l’economia sociale come uno dei modi per modellare questa trasformazione. E se si guardano i numeri nel- l’Ue, gli occupati in Italia, Spagna o Francia e le organizzazioni coinvolte, si capisce la dimensione del fenomeno. La pandemia ci ha mostrato che dobbiamo lavorare per l’inclusione, per combattere la povertà e per dei servizi sociali migliori. In queste aree l’economia sociale e le imprese sociali sono assolutamente innovative, ecco perché questa Commissione le vuole promuovere».
In che modo l’economia sociale può contribuire alla ripresa?
«Deve essere chiaro che ripresa non vuol dire tornare alla situazione che c’era prima della pandemia. La Commissione sta spingendo gli Stati membri a usare la ripresa e le risorse messe a disposizione per trasformare l’economia europea in relazione al Green Deal. L’economia sociale può avere un ruolo molto importante. Molte delle imprese sociali sono attive nell’economia circolare. Ci sarà una grande sfida a livello di occupazione con la digitalizzazione. Ci sono molti bisogni nella nostra società che non vengono soddisfatti dall’economia di mercato. I social business lavorano su basi differenti, possono essere attori importanti per creare lavoro, nuovi servizi e partecipare alla trasformazione della nostra economia».
Com’è la situazione nell’Ue?
«In passato sono stato ministro del Lavoro e dell’economia sociale per il Granducato. Nel 2015 ci fu una conferenza sull’economia sociale, alla fine 12-13 Paesi adottarono la Dichiarazione di Lussemburgo in cui si diceva che l’economia sociale deve essere riconosciuta come una parte importante dell’economia europea. Ci sono Paesi in cui l’economia sociale è più sviluppata e più forte e dà un contributo importante al Pii. Dal punto divista dell’organizzazione non tutti i Paesi hanno una legislazione apposita come l’Italia, il Belgio, la Francia, la Spagna, il Portogallo e il Lussemburgo. In questi Paesi si definisce cos’è l’industria sociale, il ruolo, i criteri da rispettare per essere riconosciuta tale. Sono Paesi con una lunga tradizione ma ce ne sono altri in cui si assiste a un forte impulso nella promozione dell’economia sociale come la Slovenia e la Slovacchia».
Quali vantaggi presentano le imprese sociali?
«C’è la consapevolezza che accanto alle imprese di mercato abbiamo bisogno del Terzo settore per affrontare alcuni problemi economici e sociali. Abbiamo un grande obiettivo: la resilienza, non solo la ripresa. È la capacità della nostra società ed economia di resistere agli choc. Abbiamo visto che l’economia sociale, poiché lavora su basi diverse, è più resiliente e ha perso meno posti di lavoro durante la crisi rispetto alle aziende normali ed è capace di investire in nuove iniziative nelle nostre società. Ci sono differenze nell’Ue, per esempio i Paesi nordici hanno imprese sociali ma non parlano molto di economia sociale, anche in Germania questa definizione non è usata. C’è però un grande potenziale nell’Ue».
Come valuta l’ltalia?
«Il mio primo approccio all’economia sociale fu sotto la presidenza italiana nel 2014, ero a Roma e ho partecipato a una conferenza con imprenditori sociali e cooperative. È un settore molto vivo, c’è una lunga tradizione rappresentata dalle cooperative, ma ci sono anche tanti nuovi imprenditori sociali attivi in molti settori, tra cui l’accoglienza ai migranti e nell’ambiente. Ci sono circa nomila organizzazioni e imprese, occupano 1,6-1,8 milioni di persone. L’Italia è un Paese leader per l’economia sociale nell’Ue».
Quali sono le best practice nell’Ue?
«Abbiamo fatto una mappa dell’economia sociale nell’Ue e report sui diversi modelli. Le imprese sociali svedesi, per esempio, hanno un modello diverso da quello dei Paesi del Sud, ma condividono gli stessi valori: non sono orientate al profitto, hanno un impatto positivo sul sociale e sull’ambiente. Bisogna rafforzare l’ecosistema per le imprese sociali per incoraggiare gli imprenditori. Molti giovani sono attratti dall’economia sociale e dai suoi valori e dobbiamo sostenerli. Su questo si concentrerà il Piano d’azione dell’Ue. Il secondo punto importante, il più debole, è il finanziamento dell’economia sociale. Stiamo vedendo un nuovo fenomeno come i green bond per finanziare la transizione verde.
Dobbiamo rafforzare l’accesso al credito, c’è un mercato per questo tipo di bond, che offrono non solo un ritorno economico ma anche hanno un impatto sociale. In Francia ci sono nuove proposte per promuovere i social bond per finanziare le imprese sociali. La Bei sta partecipando a questo tipo di finanziamenti. Dobbiamo migliorare le competenze nelle imprese sociali se vogliamo rafforzare il settore nel contesto della ripresa. Per questo bisogna usare anche gli strumenti già esistenti come InvestEu. Anche nei piani di ripresa nazionali i Paesi membri possono proporre di usare parte dei fondi della Recovery and Resilience Facility (lo strumento principale del Recovery Fund, ndr) per investire nelle imprese sociali e nei business sociali per rafforzare questo settore».
La Commissione ha annunciato che un nuovo Piano per l’economia sociale sarà presentato nella seconda metà del prossimo anno. Perché tutto questo tempo?
«Non vogliamo presentare un piano calato dall’alto dalla Commissione. Non lavora così l’economia sociale. È in corso un processo di ampia consultazione con gli stakeholder. Abbiamo anche un intergruppo all’intemo del Parlamento europeo. Stiamo costruendo un dialogo e per questo ci vuole più tempo. Probabilmente la presentazione avverrà sotto la presidenza slovena».
di Francesca Basso