Nel 2014, da nuovo capoazienda, Claudio Descalzi aveva rivoltato la struttura organizzativa dell’Eni per affrontare una pesante crisi di mercato. Nel 2020, all’inizio del suo terzo mandato al Cane a sei zampe, rivoluziona ancora l’assetto del gruppo per rispondere allo «stress test» più difficile di sempre: il tracollo economico post-pandemia e la grande sfida della transizione energetica. Di certo, alla fine di questi processi la compagnia fondata da Enrico Mattei non sarà più la stessa creatura oil&gas che conosciamo oggi.

Il nuovo passo annunciato ieri, ma già delineato con il piano strategico di febbraio, riguarda la nascita di due nuove direzioni generali, che rimpiazzeranno parecchie di quelle operative attuali: la prima, la direzione «natural resources», si occuperà del portafoglio upstream di petrolio e gas, dell’efficienza energetica e delle tecnologie che servono per la rimozione (la «cattura») della CO2, il più diffuso dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici. La seconda, la «energy evolution», avrà il suo business nella produzione, trasformazione e vendita dei prodotti energetici. Per trasformarli, appunto, da prodotti fossili a prodotti con contenuto sempre più bio, blue e green.

L’obiettivo è ambizioso, dice Descalzi, secondo il quale «questa nuova organizzazione rispecchia la svolta storica che Eni sta intraprendendo: un cammino irreversibile che ci porterà a diventare una compagnia leader nella produzione e vendita di prodotti energetici decarbonizzati».

Un piano di lungo periodo che ha il suo perno nell’obiettivo di tagliare dell’80% tutte le emissioni entro il 2050. Tutte: le emissioni dirette dovute all’attività propria o a quella richiesta ad altri (scope 1 e 2); e quelle di cui sono responsabili i propri prodotti venduti sul mercato, come ad esempio i carburanti. Un progetto che contiene impegni ambientali superiori rispetto a quelli presi da molti dei suoi competitors (e le compagnie americane ancora sono ferme al palo), ma che dovrà comunque essere verificato nei suoi passaggi intermedi per sfuggire alle accuse di «greenwashing» che le componenti più estreme dei movimenti ambientalisti rivolgono alla compagnia italiana.

A guidare le due nuove strutture del gruppo saranno due manager di lungo corso Eni: alla «natural resources» andrà Alessandro Puliti, che da luglio 2019 è «chief upstream officer»; alla «energy evolution» sarà la volta di Massimo Mondazzi, che da agosto lascerà l’incarico di «chief financial officer». Per quanto riguarda le strutture centrali, infine, sarà costituita una nuova unità «technology, R&D, digital».

di Stefano Agnoli

(da Corriere della Sera del 5 giugno 2020)

Guarda anche la videointervista della diretta streaming di Pianeta 2020

Share This