L’Unione europea è responsabile di circa il nove per cento delle emissioni globali di gas serra. Invece Stati Uniti e Cina, insieme, del quarantadue per cento. Eppure è Bruxelles che in questi anni si è messa alla testa della lotta al cambiamento climatico, specie dopo che gli Stati Uniti guidati da Donald Trump decisero di uscire dagli Accordi di Parigi. Adesso c’è un nuovo presidente, Joe Biden, che ha riportato gli Usa sul terreno della scienza invertendo la rotta negazionista del suo predecessore: Washington è intenzionata a riprendersi la leadership nella lotta al climate change.
L’Unione europea resta però un passo avanti, primo continente ad avere annunciato nel 2019 l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, da raggiungere attraverso una tappa intermedia al 2030 che prevede il taglio delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990. Gli Stati Uniti hanno annunciato a loro volta un taglio delle emissioni del 50 per cento al 2030 rispetto ai valori del 2005.
Ma Bruxelles è più avanti anche nelle misure messe in campo per combattere il cambiamento climatico, a cominciare dal Green Deal che permea quasi tutte le azioni dell’Unione europea. Next Generation Eu, il maxi pacchetto di aiuti per la ripresa post Covid da 750 miliardi, destinerà almeno il 37 per cento delle risorse alla transizione verde. Per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici dell’Ue per il 2030 è fondamentale indirizzare gli investimenti verso progetti e attività sostenibili: serviranno 350 miliardi di investimenti in più all’anno nel prossimo decennio.
Evitare li greenwashing
Cosa può essere sostenibile e come evitare il cosiddetto greenwashing? Bruxelles ha elaborato una tassonomia verde: un sistema di classificazione, che stabilisce un elenco di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Di fatto l’Unione europea sta creando il primo standard mondiale per gli investimenti verdi, che avrà l’effetto di imporlo anche agli altri alzando l’asticella green a livello internazionale. È quello che Anu Bradford, ha definito nel 2012 «effetto Bruxelles» per spiegare come le normative adottate in Europa modellino il mercato globale. Anche questa volta le misure decise dall’Ue per incoraggiare le pratiche di investimento in materia di ambiente, società e governance (Esg) potrebbero portare a un nuovo standard globale per la finanza sostenibile.
Sei obiettivi ambientali
Nel giugno scorso il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo al regolamento sulla classificazione degli investimenti sostenibili, indicando sei obiettivi ambientali: 1) la mitigazione dei cambiamenti climatici; 2) l’adattamento ai cambiamenti climatici; 3) l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; 4) la transizione verso un’economia circolare; 5) la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; 6) la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Ma perché la tassonomia diventi operativa serve che la Commissione indichi i criteri tecnici che definiscono un’attività sostenibile, che verranno pubblicati sotto forma di atti delegati. Gli atti che specificano i criteri tecnici di screening in base ai quali determinate attività economiche possono contribuire in modo sostanziale alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici «o/e se tali attività causano danni significativi a qualsiasi altro obiettivo ambientale rilevante» così come definito dalla tassonomia, devono essere pronti entro la fine del 2021 mentre quelli relativi agli altri quattro obiettivi sostenibili entro la fine del 2022 per permettere che il regolamento, già in vigore, venga applicato rispettivamente a partire dal primo gennaio del 2022 e del 2023.
Il quadro normativo ancora non è chiarissimo. Il 21 aprile scorso la Commissione ha presentato gli atti delegati relativi ai primi due obiettivi, dopo una prima bozza resa pubblica in novembre che aveva scontentato molti: i Paesi del Sud (Grecia e Cipro) e dell’Est avevano rivendicato il ruolo del gas come fonte di transizione; Polonia e Ungheria avevano contestato i parametri ritenuti troppo stringenti; i Paesi del Nord (Finlandia e Svezia) si erano lamentati perché l’elenco definisce la gestione delle foreste e il loro utilizzo come insostenibile; la Francia non era d’accordo sull’esclusione del nucleare. Ma critiche erano arrivate anche dalle lobby ambientaliste e degli industriali.
Agricoltura, gas, nucleare
Il compromesso è stato rinviare nella seconda metà dell’anno, in un atto delegato complementare, le decisioni su agricoltura, gas e nucleare. Mentre il testo definitivo ora potrà essere o approvato o rigettato da Parlamento europeo e Consiglio ma non modificato: avranno quattro mesi più due per esaminare il testo. Il sistema di tassonomia copre tredici settori, tra cui energie rinnovabili, trasporti, silvicoltura, manifattura e costruzioni, che insieme rappresentano quasi l’ottanta per cento delle emissioni di gas serra dell’Ue.
Le grandi aziende quotate dovranno rendicontare quello che fanno sulla sostenibilità: il loro impatto sull’ambiente, come trattano i dipendenti e il loro rispetto dei diritti umani. Anche le società quotate più piccole dovranno farlo ma saranno soggette a standard diversi e semplificati. L’obiettivo finale è la trasparenza, consentire agli investitori di prendere decisioni informate e di mettere le risorse sulle attività davvero verdi.
di Francesca Basso
(da Pianeta 2021 – Corriere della Sera del 19 maggio 2021)