Andrea Giussani, che ha lasciato la Presidenza della Fondazione proprio ieri, dopo nove anni di mandato, ha rilasciato questa intervista. Vogliamo condividere con tutti voi questa bellissima testimonianza… Buona lettura!

Dopo nove anni lasci la presidenza della Fondazione. Quale pensi che sia l’eredità che lasci e che augurio ti senti di fare a chi ti succede?

Quello che consegno è un grande casino, un casino positivo, intendo (ride). Innanzitutto, come primo aspetto, credo si possa dire che chiunque nei miei panni, dopo 9 anni, consegna la consapevolezza di una grande responsabilità, data dalla storia che non sono i 9 anni, ma che sono i 30 anni che festeggiamo quest’anno: quindi, a chiunque capiti un ruolo, chiunque capiti alla guida di qualcosa che c’è da 30 anni, per prima cosa deve pensare che sta consegnando 30 anni di storia. Il secondo aspetto è questo: in queste occasioni, è inevitabile che uno faccia i conti, delle cose fatte e di quelle mancate. Mi viene da dire l’importanza di ciò che viene dopo, l’attesa e la curiosità di quello che segue, perché penso che sia stato importante per Antonio Oliva e per me preparare questo momento e questo passaggio: che vuol dire fare bene le cose che stiamo facendo, ma pensando sempre come meglio sostenerle in un futuro, perché le cose non finiscono con il CdA, con delle persone, … In questo senso, il grande vantaggio è che le persone che condurranno non sono paracadutate, ma sono qui da tempo.
Mi porto dietro volti di persone, fatti, ma sento una priorità che spero possa essere presa seriamente, consegnandola, – è l’unità, il senso del valore che un’opera così regge solo se unita. Ed essendo straordinario l’impegno di tenere un’unità di impegni, un’unità di intenti, perché c’è una rete, l’unita è un impegno straordinariamente difficile, grave e gravoso. Ma se dovessi dire qual è l’augurio, è che sia al primo posto la preoccupazione dell’unità. E questo è il requisito per cui le persone che ci vengono affidate, e quindi i poveri, i soldi che ci vengono affidati, il cibo che ci viene donato, le migliaia di volti e di incontri, …, reggono il tempo, reggono la possibilità di continuare solo se in una grande preoccupazione di unità; altrimenti prevale l’idea di fare meglio, prevale il progetto singolo, pur appassionante, prevalgono queste cose. Anche l’efficacia di un importante traguardo che il Banco Alimentare sia più conosciuto, più capito, dipende dall’unità di messaggio. E quindi il fattore unità non è solo salvare un valore, ma è anche un fattore di risultato, di efficacia.

Hai messo l’accento su questo concetto dell’unità che è fondamentale. Non pensi che questo obiettivo, dopo quello che abbiamo vissuto in questi 30 anni, abbia dimostrato di esser più facile di ciò che si pensa, che quando ci si incontra diventa più facile capire quanto è importante stare insieme?

Potrei dire che è difficile ma che è facile per chi ha in dono una cosa come questa. Allora, io penso che l’unità sia fatta normalmente da due cose: o perché qualcuno nasce insieme (e quindi unità di chi nasce insieme: unità familiare, unità di educazione, …) oppure l’unità può essere l’unità di scopo: unità che dipende da dove vieni oppure unità che dipende da dove vuoi arrivare. Noi abbiamo la fortuna di avere entrambi gli elementi: quindi è facile. Quindi, come dici tu, l’unità è facile. Ma il paradosso è questo: dato che stiamo facendo una cosa particolarmente appassionante, ognuno di noi ci mette il suo e il rischio è che questo prevalga sull’unità. Se devo dire che l’unità è facile, allora dico che teoricamente è molto facile, ma nella pratica è un grande lavoro quotidiano. Oggi è anche una sfida per me perché io sono fortemente convinto che un’opera muore nel momento in cui diventa personale, ho visto il pericolo intorno a me, per cui adesso devo stare molto attento io a non dire a chi viene “io avrei fatto così”.

(da Banco Alimentare newsletter del 10 luglio 2019)

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